mercoledì 19 novembre 2008

La svolta

Eravamo in Lituania da più di tre giorni e le uniche scopate fatte erano state a pagamento. Non che la cosa ci preoccupasse molto, del resto sono convinto che in un modo o nell'altro ogni scopata nasconda un conto da pagare, in banconote, beni o rimpianti poco conta in fondo.
Noi, da quando abbiamo lasciato il "bel paese" avevamo iniziato a pagare tutto e tutti .... adesso si aspettava il resto.
Il resto arrivò il giorno seguente alla scopata in hotel, quando decidemmo di trascorrere la serata in un pub del centro città.
Da noi se scegli un pub a caso, come minimo trovi svogliati cameriere che ti chiedono i soldi ancora prima di portarti da bere, dietro al bancone panzoni con maglietta "branded", immancabilmente impataccata della maionese dell'ultimo panino servito, e tavoli di infelici avventori seduti a parlare di fantacalcio o coppiette mezze scoppiate che tentano di ricucire una storia davanti ad un boccale di birra spinata male.
A Vilnius devo dire che la situazione, già dall'ingresso nel locale, sembrava avere una piega ben differente.
Appena entrati infatti siamo stati accolti da una musica già altissima alle 21:30 di sera, orario dove da noi i buttafuori stanno ancora montando le transenne davanti al locale, e i camerieri stanno sniffando coca chiusi nei camerini.
Musica già alta, europea, non pensate a canzoncini folkloristike lituane, un sacco di gnocca che balla poco vestita, e una netta predominanza numerica del genere femminile su quello maschile.
L'ingresso ovviamente è gratuito, e le consumazioni, se scegli la più cara, ti costa 3 euro.
Diciamo che in questo contesto è difficile restare sobri più di mezzora, e verso fine serata è davvero difficile riuscire a restare ancora in piedi.
Il dutur a tratti lo perdevo di vista. Mi appariva prima seduto ad un tavolo di gente sconosciuta, offrire vodka a tutti, ridere a bocca aperta mentre una gnocca con la quarta di reggiseno gli versava un liquido incolore direttamente in gola, e lui semi soffocato, sputargliene metà sulle tette, che "effetto bagnato" si mostravano in tutto il loro splendore ad una folla in visibilio.
Poi lo perdo di nuovo per un'oretta, dopodicché mi fa l'occhiolino dal mezzo della pista, avvinghiato ad una mora, esca dalle lunghe gambe, con la quale abbozza un tentativo di ballo lento con il solo scopo, da parte del mio amico, di toccargli il culo.
Tolto lo sguardo dal dutùr per un attimo, mi soffermo su una visione inquietante. Uno dei ragazzi romani che avevamo incontrato qualche giorno prima in un ristorante, e che ci avevano intrattenuto per tutta la serata con le foto delle loro prede femminile sui loro telefonini, ecco, uno di quelli, l'unico che non aveva ancora beccato, era venuto da solo al locale quella sera, mentre tutti i suoi amici erano a casa a scopare, a cercare di dare un senso anche lui alla vacanza.
Ecco, l'immagine di quel tizio, seduto mezzo sbronzo sulle scale di legno del locale, con la testa sorretta dalle sue ginocchia, e un maglioncino demodé legato in vita, è stata una delle immagini più tristi della vacanza polacco-lituana, dopo il muro delle fucilazioni di Aushwitz.
Ancora adesso, a distanza di anni, quando vogliamo fare riferimento ad una situazione tristissima, tiriamo in ballo "Il romano" :)
Diciamo che inconsapevolmente mi è stato anche utile ,come spronamento, per cercare di non finire anche io come lui, e visto che ero sulla buona strada iniziai a darmi da fare, e mi lanciai in perlustrazione.
Alle 3 del mattino in italia, nei locali, sono rimasti solo i "fattoni" della peggio specie, e qualche "travone" in cerca di un passaggio a casa retribuito con un soffocotto, a Vilnius invece anche a tarda notte la pista pullula ancora di belle ragazze assetate di notte.
Mi siedo al bancone del bar, per l'ennesima vodka, e mentre scelgo la causa della mia prossima probabile figura di merda, ecco che una bella ragazza bionda, dal viso coi tratti levigati, si siede vicino a me, e mi chiede se sono australiano.
Di li a qualche minuto ci ritrovammo avvinghiati nel mezzo della pista a ballare un lento, ed io che fino a qualche minuto prima prendevo in giro il mio amico mentre tentava un goffo ballo con il solo scopo di palpeggiare la sua compagna di ballo.
Fatto sta che da quell'episodio, la vacanza cambiò drasticamente registro, causa l'errore, che adesso, col senno di poi, mi sento di confessare di aver fatto, ovvero di legarmi ad una ragazza, sacrificando in quel modo la grande offerta che la città offriva.
Un pò come andare in un ristorante, che offre cibi squisiti con un'offerta molto differenziata, e riempirsi subito tutto lo stomaco con un piatto solo, senza quindi poi potersi deliziare di tutto il resto.

mercoledì 16 luglio 2008

L'amico portiere notturno

Quella sera siamo rimasti più a lungo in camera, ognuno nella propria, a goderci un meritato riposo dopo lo spumeggiante pomeriggio, e, almeno io, ad ascoltare un pò di musica sdraiato sul letto.
La stanza non era molto grande, ma era molto accogliente, aveva un bel letto matrimoniale nel centro, e di fronte, una ampia vetrata regalava una bellissima vista sulla città. Il fatto che l'hotel fosse in cima ad una piccola salita, faceva si che la vista che si poteva godere dalle stanze che davano sul fronte fosse davvero notevole.
Cullato dalla musica e dal bel paesaggio presto mi addormentai e lo squillo del dutùr, che era pronto per uscire a cena, sembrava riportarmi su questo mondo dopo un lungo viaggio interstellare, in pianeti abitati solo da docili creature come quella conosciuta al centro benessere, pronte ad esaudire qualunque desiderio erotico venisse a loro sottoposto.
In men che non si dica fui vestito e raggiunsi il dutùr sulle scale dell'hotel, il quale, nel frattempo, affinché nemmeno un istante della vacanza fosse sprecato, aveva iniziato a socializzare con una addetta alle pulizie, ché in lituania, incredibile ma vero, anche quelle sono gnocche.
L'idea di unirmi al dutùr in quell'imbarazzante siparietto, a chiedere improbabili consigli su quali detergenti sia meglio usare per non rovinare i marmi, devo confessare che mi passò un attimo per la testa, anche perchè in Lituania sembra essere sempre verificata la regola per la quale una gnocca ha sempre almeno un'altra amica gnocca pronta a fare da spalla all'amica in caso di necessità.
Decidemmo però di rimandare questa opzione a eventuali casi di necessità futuri. Ci congedammo con la ragazza e, in maniera automatica, ci dirigemmo verso la piazza centrale, punto di passaggio obbligato, a Vilnius, per decidere qualunque serata.
Vediamo un bel locale, simile ad un ristorante, ma non troppo impegnativo, frequentato da giovenche di ottima fattura, e da allegre compagnie di compaesani de noartri.
Quello è il nostro posto, pensammo all'unisono io e il dutùr, e in men che non si dica eravamo con le gambe sotto ad un tavolo.
Manco farlo apposta ci venne dato un tavolo vicino alla compagnia di italiani, quattro ragazzi di Roma, evidentemente molto esperti di Vilnius, che si pavoneggiavano tra di loro mostrando a vicenda le foto delle loro prede serali immortalate, con in calce un numero di telefono, sui loro telefonini.
Appena i quattro caciaroni capirono che anche noi eravamo italiani come loro, approdati alle ridenti latitudini baltiche in cerca di divertimento, si rivolsero a noi nella modalità caciaronesca ed amicona tipica dei romani, ché in men che non si dica ci aveva uniti alla loro tavolata rendendoci partecipi anche a noialtri del carosello di gnocca sui loro telefonini.
Il primo consiglio che ci venne dato fu quello di acquistare una scheda telefonica lituana, ché altrimenti mai più una lituana, con lo stipendio che becca, si prende la briga di sostenere una chiamata internazionale per contattarti, e se proprio lo fa è per mandarti in culo con tutto quel che le fai spendere, il secondo consiglio fu quello di puntare sulla qualità, ché per rimorchiare qualche cesso c'è tempo tutto l'anno qua da noialtri, ad amminchiare dietro qualche smorfiosetta imbellettata che si crede gnocca solo perchè indossa qualche capo firmato sculettando sdegnosa in qualche strada della cosiddetta "milano bene".
Ci congedammo con i romani facendoci consigliare quello che da quella sera in avanti sarebbe stato il nostro locale fisso, il Broadveius Club.
Un locale su due piani, tutto in legno stile saloon, con al piano terra al centro una piccola pista da ballo, mentre al primo piano delle balconate, anch'esse in legno, che circondano la pista, erano un ottimo appostamento per avvistare, e scegliere di conseguenza, le prede.
Devo dire che la concorrenza maschile era scarsa, e comunque esercitata da qualche nostro compaesano o qualche straniero, non certo dalla fauna maschile locale, primo perchè non molto piacenti devo in effetti ammettere, secondo perchè nel giro di un'ora li vedevi accasciati sbronzi marci sul tavolo, mentre la loro donzella se la stava magari spassando in bagno con qualcuno che furbescamente ha affidato il suo fegato alla vodka solo a serata finita ( male ) e non già da appena entrato nel locale.
Il nostro debutto al Broadveius devo dire che non fu un gran che. Fummo anche li invitati ad un tavolo, questa volta non di romani ma di gnocche locali che ci fecero sedere al tavolo con loro con l'unico scopo di estorcerci, a suon di sorrisini, qualche drink gratis. La differenza tra un italiano ed un lituano la capisci al quarto drink, quando tu inizi ad avere la faccia di pongo e la lingua felpata, lo sguardo fisso da ebete e le gambe formicolanti, mentre le lituane, lucidissime facevano la spola tra il tavolo e la pista, in un vortice di drinks e danze ininterrotto, fino alla chiusura del locale.
Uscimmo dal locale non molto tardi, un pò perchè volevamo smaltire all'aria fresca il principio di sbornia, un pò perchè tutta quella gnocca ci aveva diciamo, predisposto bene per proseguire la serata non più solo ad osservare, ma possibilmente ad annodarci a qualche giovenca in una nottata di sesso.
Data l'ora l'unica speranza affinché il nostro desiderio fosse soddisfatto era giocarci la carta bagascia. Decidemmo però di fare una cosa in grande stile.
Basta putan-tour in taxi in squallidi postriboli, almeno per una volta nella vita, in un paese dove per qualche giorno ci si poteva sentire papponi, volevamo toglierci lo sfizio di "ordinare" al concierge dell'hotel una ragazza per la notte!
Si, più facile a dirsi che a farsi, mica per altro, ma perchè non è mica facile, per chi non ha la faccia tosta di chi è abituato a fare certe cose, scendere dal portiere di notte e chiedergli una cosa del genere.
Salimmo prima in camera a pianificare la strategia. Prima cosa aprire il frigobar e bere un altro drink disinibitore. Sotto i fumi dell'alcool, dopo un pari&dispari sorteggiammo il fortunato che doveva telefonare in reception.
Fui io il sorteggiato ( straaaano pensai ! ).
Ok mi dissi, ce la posso fare, telefono e dopo nemmeno uno squillo mi risponde il mio "amico" portiere.
( la conversazione, a rendere il tutto più complicato, si tenne in inglese, qui la riporto in italiano, essendo tutto il blog in italiano )
"Hallo!?"
"Ehm ... buonasera, mi chiedevo se era possibile avere un paio di ragazze per questa notte ??!!"
"Certamente, come le vuole ??"
( azz... pensai, incredibile, manco avessi ordinato due pizze )
( spiazzatissimo da tanta disponibilità del mio interlocutore iniziai ad incespicare ancora di più nell'inglese, ché certo non mi ero preparato un vocabolario adatto a sostenere una conversazione così specifica su certi temi )
"Ehm... faccia lei, basta che siano carine e con le tette grosse"
( lo so è una cazzata, lo stereotipo del maschio becero, ma volevo vedere voi nella mia situazione: in lituania, sbronzo fatto, alle 3 del mattino, ordinare telefonicamente al portiere un paio di zoccole per chiudere la serata, quello fu il meglio che mi usci !!! )
( Nel frattempo il dottore era ribaltato nel letto, piegato in due dalle risate)
"Ah bene bene, tette grosse, si si ho proprio quel che fa per voi, tra un ora saranno da voi!! "
Un'ora di tempo per prepararci e preparare la stanza a riceverle. Chissà che cazzo dovevamo preparare poi bho ...
L'ora passò in un istante, e puntualissimo il campanello della stanza trillò!
Ci trovammo davanti, nel messo di un lunghissimo corridoio, il nostro "amico" portiere che teneva per mano due gnoccolone pazzesche, che in effetti avevano un lato A davvero niente male.
Pagammo a lui il "conto" anticipatamente, ci strizzò l'occhio e ci domandò chi volesse quale delle due.
Data la situazione, e soprattutto la paura che il nostro vicino di stanza, un anziano tedesco con una carampana di moglie, mi saltasse in corridoio in mutande mentre noi eravamo li ha scegliere la merce fece si che scegliemmo quasi ad occhi chiusi.
Quel che avvenne quando ognuno si richiuse la propria porta alle spalle non avrebbe nulla da aggiungere a del buon sesso, pagato nemmeno poi tanto, visto il contesto e le modalità, se non fosse che il dutùr, avendo "terminato" un pò prima di me, ebbe l'ideona di mandare la sua donzella a raggiungere l'amica che era ancora "impegnata" con me ( tanto pagare l'aveva pagata ) regalandomi un fuori programma a quattro mani davvero strepitoso.
Grazie dutùr, ne approfitto per ridirtelo ancora, anche da qui !! :)
(Piccola chiosa tecnica: da notare come all'est anche le bagascie sono meglio che da noi: qui le paghi a "shots", li paghi il loro tempo invece, e soprattutto paghi il fatto non di poter avere una donna, ma di poter avere una donna che puoi mandare via quando hai finito!)
Quando abbiamo salutato le donzelle era oramai l'alba, di una notte che penso non dimenticherò mai fin che campo!

giovedì 19 giugno 2008

dove c'è pelo c'è amore

La città di Vilnius non offre molto a dire il vero, inoltre se ti allontani dal centro storico lo fai a tuo rischio e pericolo.
La periferia della capitale lituana infatti non trasuda certo senso di sicurezza da ogni cantone.
Alti e goffi palazzoni grigi, tutti identici e malmessi già dall'esterno, con grandi colonne portanti conficcate a vista nell'asfalto come piedi di un gigante di cemento, fanno da contorno a stradone deserte e poco illuminate, dove qua e la qualche losco figuro ogni tanto fa capolino.
Le automobili non sono molto utilizzate dalla gente comune.
Le poche che vedi in giro, a parte quelle commerciali, e i piccoli furgoncini delle consegne, sono per lo più taxi, qualche macchinone di gente d'affari, o sgangherati rottami dai quali esce musica assordante, con a bordo qualche balordo locale, tamarro baltico, che, convinto di essere a Miami, se ne va in giro per la città, anche con venti gradi sotto zero, col finestrino abbassato ed il gomito appoggiato fuori.
Considerato quindi il desolante paesaggio al di fuori delle mura del centro l'unica era trovare un passatempo diurno non troppo lontano dal centro.
L'ideona venne al dutùr, frutto di una probabile associazione di idee del tipo paese freddo - saune - gnocche sudate , decidemmo di andare a vedere se era possibile iscriversi in un bel centro sportivo che offrisse palestra e centro benessere.
Sfogliando i vari depliants che ci erano stati lasciati in camera non fu difficile trovare il posto che faceva al caso nostro, era un bellissimo centro sportivo di nuova apertura, proprio vicino al nostro hotel.
Aveva anche una bella terrazza, con vista sulla città, sulla quale avevano allestito un simpatico bar-ristorantino all'aperto dal quale si poteva godere di una suggestiva veduta della città.
Entriamo nella hall del centro sportivo, e un russo in giacca e cravatta, tipico personaggio da film sulla mafia russa, in un inglese nemmeno troppo maccheronico, ci ricopre di salamelecchi e ci chiede subito quanti giorni ci saremmo fermati in quel di Vilnius.
Cinque giorni faccio io, special offer for you, for five days .... fa lui.
Chissà se avessi detto dieci giorni, sicuramente sarebbe esistita una special offer di dieci giorni ;)
Ad ogni modo vada per la special offer, che in effetti "special" lo era davvero, per spendere praticamente lo stipendio medio di un lituano in cinque giorni di ingresso libero in una palestra.
Entriamo, e un lussuosissimo spogliatoio, con armadietti in legno e lavandini in marmo, ci da il benvenuto.
Spogliatoio deserto alle 15 del pomeriggio, a parte un panzone biondo sulla cinquantina, probabilmente omosessuale, che sorrideva al dutùr ogni qual volta si incrociavano gli sguardi.
Entriamo nella palestra e immediatamente il nostro immaginario si smontò.
Deserta anch'essa.
Proviamo la piscina, ma di gente nemmeno l'ombra.
Sconsolati non ci rimaneva che tentare l'ultima carta, la sauna. Del resto nell'idea principale del dottore c'era proprio il desiderio di intrattenersi tra i caldi vapori aromatizzati, sperando di incrociare qualche avvenente creatura che condivideva lo stesso desiderio.
I locali sauna e idromassaggio, come spesso accade nelle SPA è separato dalla zona piscina e palestra, e puoi solo fare ingresso in accappatoio, ciabatte e, giustamente ( non come qua da noartri che è vietato ) senza costume.
Un rapido salto in spogliatoio per indossare la "tenuta" da SPA e in men che non si dica siamo davanti alla porta a vetri, dove un campanello ci obbliga a suonarlo per avvisare del nostro arrivo.
Ci venne ad aprire una ragazza che nella mia vita ne ho viste poche di così carine e ben fatte. Alta almeno un metro e ottanta, capelli biondi a caschetto, con una frangia che cadeva diritta sulla fronte, fermandosi, quasi come per rispetto, appena sopra le lunghe e simmetriche soppracciglia che facevano da cornice a due stupendi occhi color verde bottiglia.
Indossava il camice bianco, ma agli esperti occhi miei e del dutùr non era sfuggito il fatto che sotto al camice indossava a mala pena la biancheria intima.
Si rivolge a noi direttamente in inglese chiedendoci che cosa desideravamo: accantonata la dovuta risposta attizzata da tanto slendore, le dicemmo che volevamo passare un pò di tempo nella SPA, in particolare idromassaggio e sauna.
Mentre ci accompagna verso la vasca dell'idromassaggio, inizia a dirci che il centro poteva offrire anche tutta una serie di massaggi mooolto rilassanti eseguiti da lei e da una sua collega.
Non fu difficile posticipare il momento sauna al post-massaggio, e in men che non si dica ci dividemmo, io ed il dottore, io con la bella receptionist e lui con la collega, proni su due futon.
Mi sdraiai nudo sul futon, a pancia in giù, attendendo qualche minuto Marja che si era andata a preparare.
Dopo poco fu di ritorno nella stanza, abbassò le luci e accese lo stereo, ad un volume sufficientemente alto da creare la giusta privacy con il circostante, ma non tanto da impedire una piacevole conversazione durante il massaggio.
Le sue mani correvano sapienti sul mio corpo, sapienti nel senso che sapevano dove andare per darmi maggior piacere, stimolando cervello, muscoli e zone erogene nel giusto equilibrio.
Gli sfioramenti tra i glutei si facevano sempre più frequenti, come volesse iniziare a prendere confidenza con quello che presto sarebbe diventato il centro di comandi a sua disposizione per il mio piacere.
Dopo circa un'ora mi dice se volevo girarmi a pancia all'insù, e devo dire che accolsi di buon grado tale proposta in quanto mi era diventato sempre più difficile tenere la posizione prona.
Gli effetti benefici del suo massaggio erano infatti già molto evidenti e finsi una sorta di imbarazzo per capire lei da che parte stava, il suo sorrisino malizioso, condito da un "non ti preoccupare il massaggio lo fa" mi confermò l'idea che con Marja questo massaggio sarebbe stato veramente completo.
Il massaggio proseguì per circa un'altra ora, lei si soffermava molto sulla zona del mio ventre, poiché aveva capito che gradivo parecchio la cosa, e mentre le sue mani coccolavano il mio corpo, i suoi occhi spesso incrociavano il mio sguardo in maliziosi cenni di intesa.
Ad un certo punto mi disse che iniziava a sentire caldo e mi domandò se poteva levarsi il camice.
Non penso sia difficile immaginare la mia risposta, e quando il camice cadde al fianco del suo corpo, sul futon, la visione che apparve ai miei occhi fu davvero indimenticabile.
Due grossi e sodi seni naturali erano la portata principale del banchetto che mi si era presentato davanti.
Marja si chinò su di me, continuando il massaggio con il seno, non tralasciando nessuna parte del mio corpo, e, quando iniziai ad accarezzarla, vidi che lei non aveva nulla in contrario, anzi, pareva gradire la cosa, così che senza ovviamente farmi pregare iniziai a mia volta a contraccambiare quel suo massaggio.
Fu così che in poco tempo quello che era iniziato come un normale massaggio, si trasformò in qualcosa di davvero erotico e speciale, ovvero in quello che si chiama "tantra", cioè una prolungata esperienza sessuale che ha l'obiettivo di prolungare e massimizzare il desiderio sessuale, rimandando il più possibile l'orgasmo.
In nostri due corpi avvinghiati in un nodo di piacere rotolavano di qua e di la nell'angusto stanzino, travolgendo a volte la boccetta di olio, altre quella del talco.
Dopo circa due ore però, sfiniti entrambi, decidemmo di fermare il dado, in un lunghissimo e più che mai desiderato, orgasmo.
Restammo nudi, a lume di candela, per circa quindici minuti parlando poco e guardandoci molto negli occhi.
Parlare poco perchè dopo una esperienza del genere c'è ben poco da dire, e i suoi larghi occhi chiari rendevano impossibile in non perdercisi dentro.
Dopo l'esperienza di Bliesko-Biala questa è stata la seconda volta che mi innamorai, e, considerando che erano passati 5 giorni, direi che la vacanza non stava procedendo male !
All'uscita incontrai il dutùr, che anche lui aveva parecchio gradito il massaggio, e, come due buoni compagni di viaggio che non hanno bisogno di parole per capirsi all'istante, ci incamminammo verso l'hotel gustandoci il sapore della sera, che piano piano stava arrivando.
Il sole stava velocemente scendendo dietro le montagne e l'aria si stava facendo sempre più fresca, un leggero vento aveva iniziato a soffiare inesorabile, diffondendo nell'aria l'acre odore della carne untissima cucinata da una bancarella messa in disparte, in un angolo della grande piazza.
Quell'odore e quel fumo, come a dire che esisteva anche lei, anzi, la notte, all'uscita dai locali si prendeva la rivincita sul giorno, quando, affollata di gente, vinceva la sua partita.
Io e il dottore eravamo un pò come quella bancarella, di giorno quasi non esistevamo, il nostro teatro era la notte, con tutto quello che di notte può accadere, ma questo e argomento del prossimo post!

mercoledì 11 giugno 2008

Tram scollegato da ogni distanza

- Tra meno di tre ore il sole sarà di nuovo qui a trovarci, devo cercare di riposare un pò -
Mentre mi dicevo queste parole la mia mente si era già allontanata, indietro nel tempo.
Inziai a pensare quando mi era nata questa passione per i viaggi.
Ricordo che sin da bimbo ero attratto dalle cose che portavano lontano.
Le chiamavo così allora, treni, tram, autostrade, aerei, qualunque cosa mi avesse concesso una chance di allontanamento da casa, nutriva in me un grande fascino.
Molte volte ricordo che salivo su tram a caso, scollegato da ogni distanza, senza una meta precisa, l'unica cosa importante è che facesse capolinea dall'altra parte della città.
Per un bimbo nato e vissuto in una zona centrale, la periferia rappresenta un mondo sconosciuto e lontano, e la circonvallazione esterna quasi le colonne d'Ercole.
Passavo lunghe ore sui tram ad osservare la città dove son nato, in silenzio e pensando.
Forse fu proprio dando vita a quel passatempo curioso che iniziò l'amore per la mia città, che mi porto stretto fino ad oggi.
Crescendo, il mio rapporto con le mura casalinghe non migliorò di molto.
Nonostante iniziai prima o poi ad abitare da solo, a volte per toccare l'illusione di libertà e restare, da buona anima salva, un pò con me stesso, mi isolavo in lunghe corse in automobile di notte sulle autostrade deserte.
Macinando gasolio e chilometri riuscivo a prendere le decisioni migliori della mia vita.
Tuttora a volte mi accade di prendere la macchina e gironzolare. Soprattutto quando devo decidere qualche cosa di importante!
La società autostrade per natale mi manda tutti gli anni infatti gli auguri!
Fu proprio cullandomi tra questi ricordi che quella notte presi sonno, e qualche sogno erotico mi accompagnò fino al suono della sveglia, puntata alle ore sette e trenta, in modo da essere pronti per partire alla volta di Vilnius prima delle otto.
Da Kaunas a Vilnius non c'è molta strada da fare, poi l'autostrada lituana non era nemmeno paragonabile alle bitorzolute statali polacche.
Era una autostrada quasi decente, oltretutto gratis e molto scorrevole.
Mi colpiva il fatto che veniva percorsa anche dagli autobus di linea, i quali lasciavano studenti e pendolari a bordo strada, sotto fatiscenti pensiline che distavano si e no trenta centimetri dalla linea bianca di demarcazione fine carreggiata.
Questa gente non faceva tempo a scendere che si trovava i capelli portati via dal risucchio di un grosso autotreno che da qualche chilometro seguiva il bus dal quale erano scesi.
In circa un'ora arrivammo in quel di Vilnius, capitale della Lituania, paese che fino al giorno prima rappresentava il selvaggio e sconosciuto est, "quello vero ... e sono cazzi!" (citazione Marrakech-Express ndr ) ma nel quale solo dopo un giorno ci trovavamo già di casa.
Vilnius è una cittadona, anche lei sembra piovuta dal cielo come un asteroide in mezzo alla tundra, ma nei suoi meandri trovano posto palazzoni e grattacieli che nulla hanno da che invidiare a quelli delle più note capitali europee.
Anche li per scegliere l'hotel seguimmo lo stesso criterio della sera prima.
Direzione centro, albergo top della gamma.
Il nome non lo ricordo, ma era a cinque minuti a piedi dal centro storico, e aveva numerose bandiere che sventolavano sulla facciata principale, come tante mani colorate che salutavano il nostro arrivo. Non sono proprio le ballerine haitiane che ti porgono la corona di fiori, ma ero certo che di "ballerine" ne avremmo trovate in abbondaza anche nella fredda lituania ;)
La hall era molto lussuosa, in stile high-tech, dava proprio l'idea del classico hotel frequentato da uomini d'affari, e io ed il dutùr centravamo infatti come una nocciolina nel vov con quei colletti bianchi.
Domandammo due stanze matrimonali alla bella e fredda receptionist, la quale dopo qualche rapida verifica sul terminale, ci consegnò due tessere magnetiche con serigrafato sopra il numero di stanza.
Fortunatamente era un periodo in cui non c'era nessun evento o fiera, così che l'albergo era mezzo vuoto, e ci vennero assegnate due stanze attigue.
Autonomia notturna si, ma stare su piani differenti no!
Tempo di buttare finalmente gli abiti in un armadio, dopo giorni rinchiusi in valigia e io e il dutùr eravamo nuovamente in pista, ritrovo nella hall, per andare a fare du' passi in centro città e sgranocchiare un boccone al sole.
Il clima era ideale, simile a quello che c'è da noi in montagna col sole. Ventilato e fresco, per nulla afoso. In una sola parola: l'ideale.
Trovammo posto in un simatico localino coi tavoli fuori.
Il classico posto simil bistrot francese, con tavolini molto piccoli e sedie scomodissime, però essendo l'unico con i tavoli all'aperto decidemmo di rinunciare alle comodità, in virtù di un pò di relax al fresco sole lituano.
Azzannando un bel filetto al sangue, accompagnato da una bella bottiglia di vino rosso cileno, ricordo che col dutùr facemmo un patto, se così si può dire.
Era certo che in quei giorni, in qualche modo, si sarebbe conosciuto qualche donna.
E sarebbe stato veramente troppo fortuito se l'avessimo trovata entrambe e nello stesso momento.
Molto più probabile invece che la si incontrasse in tempi diversi, o, ipotesi alla quale nemmeno volevamo pensare, che uno dei due mai la trovasse, e fosse costretto ad un amore mai in esclusiva, sempre con qualcosa da pagare.
Ad ogni modo, nessuno dei due avrebbe per nessun motivo dovuto rinunciare a proseguire una conoscenza con una appartenente del sesso opposto per non lasciare "solo" l'amico.
Il primo che "beccava" doveva andare fino in fondo, l'altro si sarebbe arrangiato in qualche modo!
Stretta di mano, caffé e via di nuovo per i vicoli del centro alla ricerca di un passatempo pomeridiano in attesa della night-life di Vilnius.

martedì 10 giugno 2008

La creatura delle conifere

Ora la strada aveva iniziato a farsi interessante.
Lasciata alle spalle la capitale polacca, imboccammo la statale per Suvalki.
Le indicazioni non era difficile seguirle, quelle di nostro interesse erano sempre accompagnate dalla parola "Lietuva", che in lingua significano appunto Lituania.
Le distese color grano della polonia centrale, e il triste grigiore di Varsavia, li stavamo oramai dimenticando, dando in pasto ai nostri occhi, avidi di paesaggi diversi da quelli ai quali eravamo abituati, lunghe file di conifere altissime, e molto vicine tra loro, che componevano tratti di foresta nelle quali, come una ruga, si faceva spazio la strada che stavamo percorrendo.
Ad un tratto spuntarono, da dietro un albero proprio a bordo strada, un paio di lunghissime gambe con la pelle color madreperla, che terminavano in uno dei più bei fondoschiena femminili che io abbia mai avuto la fortuna di vedere.
Il dutùr tirò una inchiodata che i bagagli, appoggiati alla meno peggio sul sedile posteriore, mi finirono diritti sulla nuca, facendomi capire che quella visione non era affatto un sogno.
Guardando bene, nascosta tra gli alberi, trovava posto anche una piccola baracca, anch'essa in legno, con tutto rispetto del paesaggio, dove probabilmente la pulzella andava a consumare la sua danza di sospiri, effusioni e avvinghiamenti con il forestiero di turno, molto probabilmente un camionista.
Quella statale infatti era frequentata esclusivamente dai T.I.R, e da qualche autobus che fa la spola tra Varsavia e Vilnius.
In questo via vai di giganti della strada eravamo coinvolti anche io ed il dottore, con la nostra audi verde bottiglia. Anche lei rispettava il colore del paesaggio :)
Ricordo che quella inchiodata, anche se in verità fu solo un forte rallentamento di qualche istante, per noi ebbe la durata di una eternità, nella quale decidere se andare a fare un pò di compagnia alla stupenda ragazza delle conifere, o tirare diritto, che tanto in quel di Vilnius ci saremmo sicuramente rifatti.
La nostra incapacità di prendere decisioni importanti in pochi istanti ci fece proseguire, affidando la giunonica creatura delle conifere al magazzino dei ricordi, e, forse all'unico vero rimpianto di quella incredibile vacanza.
Il viaggio proseguì immaginando e fantasticando su quello che sarebbe potuto accadere dentro a quella baracca immersa dentro alla macchia.
Ancora adesso, a distanza di tempo, per me ed il dutùr il termine "conifera" è diventato sinonimo di bellissima fanciulla dagli aperti costumi sociali.
La cosa che ci colpì fu che quello fu un caso del tutto isolato, non ne avremmo mai più vista nemmeno una.
Come tutte le più belle creature, infatti, la conifera è apparsa solo una volta, dandoci solo una possibilità: aut-aut.
Decidemmo di abbandonarla nel sottobosco, e il prezzo da pagare fu la sua esclusività.
Tra una conifera e l'altra però si stava facendo sera, e il ricordo del fondoschiena ampio e rotondo della conifera stava lasciando il posto all'ansia dei briganti, quando ci ricordammo del mònito del vecchio polacco.
Il sole calava molto più in fretta di quanto noi eravamo in grado di avvicinarci al confine, e di conseguenza al primo centro abitato dove pernottare.
Finalmente, quando oramai il tramonto era rosso sangue, pronto al viraggio verso il nero notte, superammo un cartello che prometteva la frontiera con la lituania a pochi chilometri.
Riprendemmo fiato e interrompemmo il canticchiare di chi ha paura, iniziando a cercare i documenti per l'ingresso in lituania.
Non sapevamo nulla di quel paese, proprio perchè sulla Polonia ci eravamo un minimo documentati prima di partire, ma sulla lituania, essendo una destinazione presa on the road, non avevamo nessuna informazione.
Di tutti i dubbi che ci assalirono quello peggiore era che fosse in vigore l'alfabeto cirillico.
Sarebbe stata la nostra rovina.
Arriviamo in frontiera, ovviamente deserta, e veniamo accolti da un paio di militari in tenuta mimetica, e con kalashnikov alla mano, che si rivolgono a noi in russo.
L'espressione dipinta sul viso del dutùr mentre tirava fuori i passaporti per consegnarli al militare me la ricordo ancora adesso, come anche quella del collega frontaliero che con una frase incomprensibile, ma con un cenno inconfondibile, mi intimò di aprire il bagagliaio.
Scesi dalla macchina osservando l'amico del dutùr che se ne andava con i nostri passaporti e lentamente andai verso il bagagliaio aiutanto lo sbirro a estrarre i bagagli, per evitare che facesse cascare tutto per terra sull'asfalto oramai umido di condensa.
Fu un controllo lungo e minuzioso, a tratti estenuante, come quando per esempio estrasse dal mio beautycase un blister di pillole per la pressione che avevo tolto dalla scatola per risparmiare spazio.
Far capire al bolscevico che cosa fossere quelle pastiglie non fu facile, ma fortunatamente dopo un pò si convinse, e mi acconsentì di ricostruire il mio tetris di valige ben riposte nel bagagliaio.
La mia lezione di farmacologia applicata tenuta al militare era durata circa un'ora, e nel frattempo del suo collega, e dei nostri documenti soprattutto, nemmeno l'ombra.
La notte oramai era arrivata, come la certezza di dover attraversare la tundra lituana nottetempo, cosa che avremmo evitato come la peste.
Ingannammo l'attesa osservando i lunghi autoarticolati carichi di belle macchine con targhe europee che si accingevano ad entrare in lituania, per essere probabilmente vendute al mercato nero. Dalla targa di uno di quei bolidi pendevano ancora le bestemmie del proprietario a cui era stata rubata.
Finalmente dal gabbiotto uscì il bolscevico con i nostri documenti in mano e potemmo fare il nostro ingresso in lituania.
Essendo ovviamente anche la moneta differente dagli zloti polacchi, prima tappa obbligatoria fu il cambiavalute un chilometro dopo la frontiera.
Il dutùr decide di non scendere dalla macchina e di restare su con il motore acceso, dando a me duecento euro da cambiare, dicendomi di andare io a cambiare.
Entrai nel gabbiotto e mi misi in fila con i camionisti attendendo il mio turno.
Arrivato davanti alla bella impiegata con i biondi capelli schiacciati sulla testa e fissati con una forcina che da noi andava di moda vent'anni fa, gli consegnai i soldi e domandai lei di cambiarmeli in litas.
Vidi che iniziò a tirare fuori dei pacchi assurdi di banconote grandissime e, ad uno ad uno me li consegnò.
Non vi dico le facce dei camionisti bielorussi, uno di questi addirittura, con un ghigno di intesa in un inglese stentato ma comprensibilissimo mi disse: "Attention, a lot of money!".
Corsi in macchina dal dutùr con la foga di uno che ha appena sbancato un casinò, e partimmo sgommando facendo rotta verso Kaunas, ovvero il centro abitato più vicino.
Per quanto vicino distava sempre un centinaio di chilomentri, e a quell'andatura, dettata dalle condizioni dell'asfalto, non ci avremmo potuto mettere meno di un paio d'ore.
Questo significava arrivare a Kaunas verso mezzanotte, con la grande incognita di dover anche trovare un hotel decente, con posto auto sorvegliato, per trascorrere le poche ore che ci dividevano dall'alba.
Riprendemmo a canticchiare e a mandar giù grossi fiotti di saliva ogni volta che incrociavamo i fari di un'auto.
Ad un tratto i cartelli iniziarono a raccontarci che il centro città distava meno di 5 chilometri, ma il panorama sembrava smentirli, nemmeno una luce o un segno di vita.
Confidenti nella segnaletica arrivammo infatti in pochi minuti nella civiltà.
La città era però addormentata, quasi come noi, e capimmo in fretta che evidentemente Kaunas non risalta per night-life nelle guide sulla lituania.
Oramai era tardi quindi la scelta dell'hotel non poteva essere complicata da noiosi cavilli economici, quindi ci dirigemmo in pieno centro e sostammo nel migliore hotel della città, che in effetti aveva un costo un pò sopra la media lituana, ma se paragonato ai prezzi di noialtri era equivalente ad una pensione tre stelle in una località qualunque della riviera romagnola.
Parcheggiata l'audi verde bottiglia, consumata una frugale cena in un fast-food e fumato il nostro sigaro di rito nell'ampio e deserto viale centrale, iniziammo a pensare su come spendere ( è proprio il caso di dire) la nostra prima notte.
La prima opzione era quella di rientrare in hotel e di chiedere al portiere della compagnia per la notte.
La seconda possibilità era di adare a cercar conifere in città, magari in qualche night.
Optammo per la seconda, lasciandoci la prima per le prossime serate, in caso di magra.
Non avevamo intenzione di muovere nuovamente la macchina, e dover affrontare nuovamente le tenebre attorno a kaunas, quindi gironzolammo un pò a piedi per il centro, cercando un passante adatto a cui poter domandare.
Non fu difficile trovarlo, svoltato un incrocio si avvicinò a noi un signore di mezza età con gli occhi azzurro cieco e gli occhiali sporchi come i fanali di un autotreno arrivato in cima al passo Pordoi.
Sentendo i nostri commenti a voce alta ci confessò di essere anche lui italiano, ghigno da emigrante impantanato lassù per affari. Un altro modo per non dire di essere un gran puttaniere.
Infatti in meno di 5 minuti ci snocciolò tutto il panorama sexi che Kaunas poteva offrire.
Andò a finire che ci accompagnò in un bel locale, stile night-club con le poltrone in velluto rosso, dispose con ordine davanti a un grande palco, in mezzo al quale, come un raggio di luce proveniente dal'alto, si conficcava un lucente palo d'acciaio.
Ad un tratto la musica da soffusa si fece assordante, le luci si abbassarono e sul grande palco salì una ragazza, molto alta ma non troppo magra, con due grandi occhi sui quali sbattevano come persiane lunghe ciglia finte e incatramate di mascara.
Il locale era pressoché deserto, ed essendo gli unici avventori solo io, il dutùr e il signore di mezza età conosciuto pochi minuti prima, non fu difficile immaginare la bella ukraina su chi si avventò.
In quei momenti il cervello di un uomo è come se venisse meno, forse per il calo di pressione causato dal sangue impegnato a riempire altre zone del corpo.
Elargimmo infatti alla bionda maggiorata quasi tutte le banconote che ci eravamo portati dietro quella sera, (fortunatamente il cambio era a nostro favore) senza nemmeno poter arrivare al fondo del cammino tracciato nelle nostre menti dal desiderio!
Rientrammo in hotel che era quasi l'alba.
Il portiere ci osservò sorridendoci con uno di quei ghigni di chi ti vuole comunicare qualcosa.
Sapevamo benissimo cosa, e, anche se non lo saprà mai, gli abbiamo anche dato ragione.

venerdì 6 giugno 2008

Un vecchio e un bambino ci preser per mano

- Cazzo! Abbiamo solo venti giorni di vacanza, non due mesi. Non possiamo restare nemmeno un giorno di più a Cracovia! -
E' questo che ci siamo detti col dutùr, alla fine della prima settimana di ferie spesa in quel di Cracovia.
Nostro malgrado ci toccava lasciare l'albergo Alexander, non rivedere mai più i larghi occhi chiari della receptionist ( quella che ci aveva suggerito il parco acquatico ... 'tacci sua -ndr-) , la grande piazza centrale con il mercato coperto al centro, acquario nel quale avevamo tanto giocato a correre e rincorrerci con simpatiche donzelle, esche dalle lunghe gambe e dai vestitini sgargianti ed un pò demodé.
Dire addio agli scoppiettanti localini sotterranei e ai loro baristi, che oramai conoscevamo tutti, addio alle zuppe con carne, brodo, cipolle e patate ( non ci crederete ma sono ottime!), addio alla Vistola, ma soprattutto addìo a Bielsko-Biala, che nel nostro immaginario coincideva con Cracovia.
Bando alla malinconia, la lunga strada bianca ci stava chiamando, e noi eravamo li apposta per rispondere.
L'idea era quella di spingerci verso Nord.
Ad est eravamo già abbastanza, adesso una bella virata verso Nord era quello ci voleva, per andare a rincorrere il fresco, scappato dove la vegetazione mediterranea inizia a lasciare il posto alle alte conifere dalla corteccia dura.
Capimmo presto che il nostro mezzo di trasporto non era esattamente l'ideale per attraversare la Polonia.
L'autostrada infatti non esisteva, e l'unica strada che tagliava longitudinalmente il paese era una statale dissestata, e infestata da lunghi e scarburati TIR dalle targhe illeggibili, carri bestiame, automobili anni '60, e qualche posto di blocco.
Con questi ultimi oramai, dopo l'avventura slovacca, avevamo maturato una certa esperienza.
Non ci siamo fatti cogliere impreparati infatti alla prima prova di socializzazione con gli sbirri polacchi.
Solite domande in lingua polacca, solito nostro sguardo sbasito, e solita domanda "italien ? ".
Solito inglese maccheronico, solito passaporto con già dentro una banconota da 20 euro, soliti saluti ,e solito scrocco di indicazione stradale con auguri di buon viaggio da parte dei gendarmi.
La campagna polacca è immensa.
Si estende a perdita d'occhio, infinite distese color oro riflettono la luce del pallido sole rendendo necessari gli occhiali scuri per proteggersi dal riverbero.
Le canzoni si susseguivano numerose nel lettore dell'automobile, come numerosi erano i pensieri che si affacciavano, sotto forma di timidi sorrisi, sul mio viso rivolto verso il finestrino.
La polonia è le sue città.
Fuori non c'è niente davvero. Solo campagne, grano, carri, e piccoli agglomerati urbani riconoscibili quasi esclusivamente dal cartello "Skola", grande e colorato, che fa capolino in parte alla carreggiata.
Ad un certo punto terrore!
Incomprensibili cartelli gialli con una scritta illeggibile nera, ed un disegno stilizzato, ci fanno intendere che, causa lavori, la strada maestra per Varsavia era interrotta, e veniva "suggerita" una semplice deviazione.
Il dutùr ovviamente, anche abbandonata la strada principale, guidava con la stessa sicurezza e velocità con la quale guida nelle campagne bergamasche, ed io non avendo il tempo di localizzare sulla mappa le accozzaglie di lettere, alias nomi di paesi, lette sui cartelli, non potevo indicargli una rotta certa, col risultato che nel giro di venti minuti ci trovammo in una strada sterrata che portava ad una fattoria!
Credo che i proprietari di quella fattoria, due anziani contadini polacchi, non avessero mai visto una audi verde bottiglia coi cerchi in lega, in tutta la loro vita.
Il nostro arrivo venne accolto come l'atterraggio di una navicella spaziale.
Dalle numerose porte, situate sui lati della fattoria, cominciarono ad uscire frotte di bambini e ragazzini di tutte le età, figli, nipoti e pro nipoti dei due vecchi.
Circondarno la macchina e ci condussero all'interno della corte della fattoria, dove un grande spiedo, sul quale girava un capretto, diffondeva nell'aria un profumo irresistibile, soprattutto per le nostre pance che oramai avevano dimenticato il panino del pranzo.
Il vecchio, scoprimmo essere di origini italiane, quindi, con grande conforto scoprimmo che biascicava qualche parola, che unita alle risposte in bergamasco del dutùr, fecero si che i due si capissero perfettamente.
Il risultato fu che ci tennero con loro a cena, ad approfittare del capretto allo spiedo, e ci avrebbero ospitato anche a dormire, che, secondo il vecchio, non era consigliabile che noi ci si mettesse di nuovo alla guida dopo cena.
Due ore dopo capimmo il perchè.
Sceso il capretto dallo spiedo, il vecchio, aiutato dai ragazzi più giovani, andò a prendere una damigiana di un rosso polacco che tenevano al fresco in un ripostiglio dietro la cascina.
Un foro nel sughero, un tubo di gomma con un rudimentale rubinetto all'estremità, e il gioco fu fatto.
L'esperienza di bere vino direttamente dalla damigiana, a volontà, la sperimentai solo una volta in vita mia.
A 20 anni, alla festa di primavera della facoltà di Agraria.
All'epoca il bere dalla damigiana fu un pretesto per incontrare la gnocca universitaria, quella sera servì per dimenticare la gnocca, almeno per quella sera, e godermi la calda accoglienza di una famiglia di sconosciuti, che ci aveva accolto come amici fossimo sempre stati.
La notte passò in un lampo, coccolati dal vino, dal capretto e dai sogni, si fecero subito le sette del mattino, orario in cui io e il dutùr la sera prima avevamo deciso di alzarci.
Come da accordi andammo via che la famiglia ancora dormiva, ché tutti i saluti e ringraziamenti li avevamo già fatti la sera prima.
Io poi detesto salutare una persona quando so che non la rivedrò mai più.
Decisi dunque di salutare il vecchio e la moglie con un arrivederci, un pò perchè non si sa mai, e un pò per non affidare a quel saluto l'ineluttabilità di un addìo.
Per educazione rifacemmo i letti e lasciai un paio di CD sul comodino per una delle figlie del vecchio, che amava, mi disse, la musica che ci eravamo portati in macchina.
Sulla copertina scrissi il mio indirizzo email, e fu quella la prima volta che scrissi il mio numero e la mia mail ad una gnocca non con l'intenzione di trombarla, ma perchè davvero mi avrebbe fatto piacere risentirla per sapere come andavano le cose.
Anche quando non ci si vede mai con qualcuno a cui si tiene, basta un saluto, una telefonata, e le distanze ed il tempo vengono cancellati.
Ogni tanto ancora ci scriviamo, ed è stato con mio grande dolore che prima di natale venni a sapere che il vecchio padre di origini italiane era passato a miglior vita.
La sua morte non cancellerà mai però dalla mia mente l'immagine del grande uomo che era stato.
Con nostra grande sorpresa tutto quel vino non ci aveva lasciato nessun postumo.
Quando si dice che il vino, quando è genuino, e non avvelenato dal mercato, se ne può bere a volontà senza troppi problemi, lo confermammo quella mattina, quando, puntuali come orologi alle sette e trenta del mattino saltammo sull'audi freschi e pimpanti come due germogli.
Peccato che avevamo completamente scordato le indicazioni del vecchio, quindi sul fronte orientamento, era tutto da rifare
Quell'esperienza era però ben valsa la perdita della giusta rotta.
Grazie al fato, alla mappa, e a qualche indicazione stradale chiesta qua e la, riuscimmo a rimetterci sulla statale maestra, scoprendo che Varsavia, oramai , distava solo meno di un centinaio di chilometri.
Qualche rapido conto ci fece presto capire che avevamo percorso circa 300 chilometri di deviazione, in mezzo alle campagne polacche, prima di rimetterci in bolla sulla giusta strada.
Quando lentamente il giallo del grano ed il verde delle campagne iniziavano a lasciare posto a squallide periferie stile bolscevico, intuimmo che la capitale della polonia si stava avvicinando sempre di più.
Nel giro di un'ora infatti ci trovammo circondati da immensi palazzoni grigi, con lunghe file di filenestre tutte uguali e senza imposte, dalle quali spesso faceva capolino o una parabola o uno stenditoio con collezioni di calze e mutande mal lavate.
Si era fatta l'ora di pranzo, e siccome a stomaco vuoto non si è in grado di prendere decisioni riguardo alla rotta, si decise di fermarsi a mangiare qualcosa in uno squallido ristorante di periferia.
Il ristorante ovviamente era deserto, e penso che pieno non lo sia mai stato, considerando lo stupore letto nella faccia della cameriera, che ci mise parecchio ad accorgersi che qualcuno era entrato.
Di pronto non avevano nulla, ci toccò quindi attendere parecchio, col vantaggio di poter scegliere il menu che volevamo, muovendoci all'interno della non vastissima scelta di ingredienti a loro disposizione, e di avere il tempo per pianificare il proseguo del viaggio.
Varsavia è nel Nord della polonia, poco distante dal confine con la bielorussia e con la lituania.
La prima era pericolosa, il vecchio polacco infatti ci raccontò che da quelle parti è in voga ancora il brigantaggio, e col calar delle tenebre una bella macchina come la nostra non passava certo inosservata ai briganti russi e ucraini, trafficanti d'armi, che infestano quelle zone.
Dopo aver scartato la terza possibilità, che era quella di virare verso occidente, per raggiungere la regione dei laghi, sulla direzione per Danzica, d'estate meta di famigliole polacche alla ricerca di uno specchio d'acqua nella quale immergersi, e fare canottaggio, non ci restò che apprendere bene la rotta da tenere per entrare in Lituania prima che facesse buio, ché anche li, il brigantaggio non era una pratica desueta.
Considerando che erano le tre del pomeriggio, eravamo confidenti di riuscire a raggiungere il confine lituano entro il tramonto, e di passare la notte nella prima cittadina lituana oltre confine, in attesa, il giorno dopo, di far tappa a Vilnius, meta della seconda parte della nostra vacanza.

venerdì 30 maggio 2008

Arbeit macht frei

Anche due vitelloni italiani come me e il dottore non potevano, trovandosi in quel di Cracovia, non fare visita al campo di concentramento di Auschwitz.
Questo ovviamente è il nome che i nazisti diedero al paesino di Oświęcim, sottraendogli perfino la dignità ai polacchi di dare un nome alle loro città.
Dal centro città, in auto, anche sbagliando strada, in meno di un'ora ci si arriva.
La giornata era abbastanza soleggiata, ma il caldo era sopportabile, un pò meno lo era il dolore al mio tallone, risultato della giornata precedente al parco acquatico.
Claudicando ci avviamo all'ingresso della zona "museo", quello che era il campo di sterminio infatti, adesso è stato adibito a museo, il campo di concentramento invece, che dista meno di un chilometro, prende il nome di Birkenau, e lo abbiamo tenuto per la seconda parte della giornata.
All'ingresso del museo moltissima gente affolla la ampia sala dove cartelli in tutte le lingue spiegano nel dettaglio tutta la vasta programmazione giornaliera di visite guidate e audio guide.
Io e il dottore che detestiamo le gite guidate, ovviamente decidiamo di visitarcelo da soli.
Anche perchè ad ogni passo, un cartello multilingua, come un eco della memoria racconta e descrive l'orribile scenario che regnava in quel punto nemmeno poi tanti anni orsono.
Ricordo che uno dei primi pensieri che attraversò la mia mente, girando per il campo, fu che tutti gli alberi presenti, molto probabilmente, sono stati testimoni di quanto accaduto.
Il pensiero che quella stessa corteccia, alla quale appoggiavo la schiena per riposare un secondo, potesse essere stata avvolta, un pò di anni prima, dall'acre e macabro fumo proveniente dai comignoli che avevo davanti ai miei occhi, era una cosa che mi rattristava moltissimo.
Ma gli alberi non provano sentimenti, e le loro foglie vanno dove tira il vento, senza curarsi molto delle conseguenze, e il vento infatti in quegli anni era di un nero soffocante, ma le loro foglie sono rimaste verdi come la speranza, la speranza di una fine, che finalmente prima o poi è arrivata.
Credo che ognuno di noi dovrebbe, almeno una volta nella vita, farsi un giro da quelle parti, per rendersi conto la follia umana a cosa può arrivare, e, cosa ancor più tragica, non quella di un singolo individuo, ma di una nazione intera!
Soprattutto perché di "lager" è ancora pieno il mondo, hanno nomi diversi, li camuffano con nomi del tipo CPT, Guantanamo, Bolzaneto, ma il minimo comune denominatore è identico, ovvero la violenza dell'uomo su altri simili privati della propria dignità.
Uscimmo dal museo di Auschwitz verso l'ora di pranzo, e in un baracchino antistante l'ingresso consumammo un paio di bibite ed un panino con il wurstel.
Dopo la sosta, passata quasi in silenzio rimuginando sulla atroce galleria di immagini che la nostra mente aveva conservato, salimmo nuovamente in auto per andare a visitare anche il campo di concentramento, ovvero dove i deportati arrivavano e venivano smistati.
Da una parte del binario gli "abili" ai lavori forzati, dall'altra i morti, ovvero i destinati al campo di sterminio.
Quello che terrorizza varcando l'ingresso di Birkenau è l'immensa vastità del campo. Si estende quasi a perdita d'occhio. Migliaia di baracche, originariamente stalle concepite per ospitare 25 cavalli, contenevano circa 150 esseri umani ognuna.
In ogni "letto", cioè quattro assi una affianco dell'altra vi erano ammassate decine di mucchietti di ossa con occhi, ovvero quel che rimaneva degli uomini, donne e bambini che venivano "ospitati" nel campo, per guadagnarsi la "libertà" col lavoro.
Anche il pomeriggio trascorse in fretta, passeggiando per i lunghissimi viali del campo, con il mio piede che piano piano si era fatto sempre meno dolorante, ché il dolore fisico aveva piano piano lasciato il posto ad un dolore psicologico, una grossa tristezza innscata dalla visita a quei luoghi.
Il viaggio di ritorno in macchina trascorse in silenzio, mentre dall'autoradio accesa salivano le note che accompagnavano questa canzone:

Son morto ch'ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
e ora sono nel vento
Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento
Nei campi tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano, non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come puo` un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone
ancora non e` contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sara`
che un uomo potra` imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà

venerdì 23 maggio 2008

Cracovia night life

Da quella sera abbandonammo l'idea dei bordelli per sposare quella dei localini sotterranei.
Una cosa che mi colpì fin da subito è che li la musica comincia, giustamente, verso le nove e mezza di sera, non come da noi dove per iniziare a ballare devi aspettare l'una di notte. In questo modo la gente può permettersi di divertirsi anche durante le serate infrasettimanali, e non solo il venerdì o sabato.
Qua da noialtri infatti se vai a ballare in settimana trovi solo papponi, mantenute e studenti. Il resto della gente la mattina dopo deve alzarsi per andare a lavorare e non può permettersi di aspettare l'una di notte per ballare.
Così io e il dutùr, dopo pantagrueliche cene, e un breve giretto di perlustrazione attorno alla piazza, giusto il tempo di un sigaro, ci si buttava sempre nelle tunz-tunz cantine a vedere un pò che aria tirava. Un aria, ma un aria, che mancava l'aria!!
L'ingresso non è omaggio, costa l'equivalente di un euro circa per entrare, poi dentro paghi quello che bevi. E stando alle capacità metaboliche dei nostri fegati si spendeva una cifra :)
Ricordo una sera, mentre ci si trascinava, ubriachissimi, in albergo, passando davanti all'ennesimo localino domandai al dottore se avevamo il timbrino anche di quel posto li, che nel caso si potevano fare gli ultimi due salti.
" Dutùr, noi abbiamo pagato tutti! " fu la sua risposta.
Riflettendo su questa constatazione decidemmo comunque di soprassedere, per quella sera, e filammo diritti sotto le coperte.
Quella notte, ricordo, prima di addormentarmi riflettevo sul perchè basta allontanarsi di qualche chilometro da Milano, non necessariamente fino in Polonia, per constatare che le ragazze, ma la gente più in generale, ha un approccio completamente differente. Le ragazze polacche poi in estate, visto che è molto breve, e nemmeno troppo calda, approfittano per sfoggiare gli indumenti più leggeri che abitano il loro guardaroba. Ed è così che quando tu passeggiando per il centro di Cracovia, in una giornata uggiosa di inizio agosto, con un clima paragonabile a quello che da noi c'è agli inizi di ottobre, vedi queste splendide fanciulle passeggiare con il corpo coperto solo da pochi centimetri quadrati di stoffa. Oltretutto queste simpatiche signorine non è che come da noi, quando di rado vedi qualche modellina vestita in maniera simile, passeggiano tirandosela all'inverosimile, con lo sguardo basso a terra, con il rischio di andare addirittura a sbattere contro ad un palo piuttosto che rischiare di incrociare il tuo sguardo, no, queste svestitissime polacche slumazzano pure i maschietti che gli garbano, decorando i loro sguardi con ammiccamenti che solo io e il dutùr, nella nostra più totale insicurezza , potevamo ignorare e a volte addirittura, cambiare strada.
Oltre al fondo di insicurezza persistiva in noi, fin dalla partenza dall'Italia, il sospetto che le ragazze dell'est cerchino di intortare i bei ragazzi italiani con la speranza di essere portate via dal loro paese.
Ovviamente questa cosa poteva essere sensata qualche anno fa, in tempi di regime comunista, adesso che la Polonia è più all'avanguardia di noi in quasi tutti i settori, tale paura è del tutto infondata.
Infatti tutto il loro civettare per le strade, imparammo con l'esperienza, non era affatto sinonimo di sesso facile, anzi.
Ci si divertiva assieme, magari, si passava una bella serata e nulla più.
Chissà quando anche da noialtri le donne carine capiranno che non è strettamente necessario comportarsi sempre, quando hanno davanti una persona del sesso opposto, come se ognuna di loro fosse l'unica ad avere il privilegio di essere seduta sulla loro fortuna!

sabato 10 maggio 2008

Le ragazze della notte

Cracovia. Ricordo che la prima volta me ne parò mio cugino.
Lui si che di est se ne intendeva.
Più grande di me di una decina di anni, aveva speso periodi memorabili nell'est, quello vero. I suoi racconti allietavano le noiosissime serate di quando ti trovi coi parenti, e sei costretto per ore ad ascoltare le baggianate di tutti loro.
Giovanni invece raccontava dei suoi amori lasciati qua e la. Ad est. E io, inchiodato sempre tra le solite quattro mura, assieme alle solite persone, fantasticavo parecchio quando mi parlava di posti quali San Pietroburgo, Mosca, Cracovia e impronunciabili città della Romania.
Fu quindi lui a consigliarmi Cracovia, non direttamente, ma con quanto andava raccontando.
Cittadina molto bella dal punto di vista architettonico, ma anche città universitaria. Piena di ragazzi giovani e con un centro città che pullula di vita.
Decine di localini dai nomi improbabili tutti sotto terra. Accrocchiatissime scalinate ti conducono in cantine adibite a discoteche, dove con una manciata di euro riesci a ordinare una quantità di vodke sufficiente a mettere in affanno fegati allenatissimi quali il mio e quello del dutùr.
La prima sera me la ricordo bene. Fuori e dentro da tutti i locali del centro città.
Le mani tatuate di timbrini manco fossimo i discendenti di qualche sconosciuta tribù polnesiana, le gambe oramai vacillanti dopo l'ennesima vodka e il quattrocentesimo scalino salito. Verso le quattro del mattino, nonostante lo stato alcolico fosse quello derivante da quanto appena descritto, il dutùr lamenta un lieve appetito, e come non dare corso al suo istinto quando si sta passando davanti alle insegne di un mc donald ?
Mecco è sempre Mecco, anche a Cracovia ha sempre il suo fascino.
Soprattutto quando alle 4 del mattino hai una fame pazzesca, e sai che l'unica possibilità di sfamarti è fare l'ennesimo affronto al tuo fegato, offrendgli un BigMacMenu.
Hamburgher, patatine, birra, e quel che restava della notte passato abbracciato alla tazza del water a vomitare anche l'anima.
L'indomani mattina, davanti ad una tazza di the, nella sala breakfast dell'hotel, a ragionare sul fatto che sicuramente fu un colpo di freddo, la famosa "diagonale", a mettere KO le nostre budella, mica le vodka, noi si che lo si reggeva l'alcol !
Quella mattina ci ripromettemmo che ci avremmo dato un taglio all'alcol, non sapendo che dovevamo ancora cominciare a bere seriamente.
Il giorno a Cracovia passava abbastanza velocemente, primo perchè prima di mezzogiorno non si metteva il naso fuori dall'hotel, secondo perchè di giorno tutte le ragazze polacche carine erano al lavoro ( giustamente ) quindi a noi interessava ciò che accadeva dall'imbrunire in poi, quando le belle polacche, restaurate per la serata, iniziavano a gravitare lungo il perimetro dell'immensa piazza, tracciando lunghe e regolari orbite alla ricerca di qualcuno che gli sponsorizzasse la serata.
Resta il fatto che per vivere la notte, in qualche modo il giorno andava speso.
Ad agosto a Cracovia non fa affatto caldo, almeno quell'estate. Fatto sta però che una mattina la receptionist dell'hotel ci parlò di un parco acquatico al coperto, proprio in periferia di Cracovia.
Ci scrive nome , indirizzo e numero di telefono su di un bigliettino che ancora conservo, e ci augura buon divertimento.
Trovare il parco acquatico è stato tutto tranne che semplice, ad ogni semaforo eravamo fermi a chiedere informazioni mostrando alla gente il famoso bigliettino.
Finalmente dopo numerosi giri arriviamo davanti al parco acquatico. La struttura era già da fuori molto imponente. Immaginate l'acquatica di Milano avvolta in una immensa struttura di vetro, che lascia entrare la luce, scaldando i vetri a mo' di effetto serra, dando l'illusione di essere in un posto caldo.
Rimaniamo impressionati ulteriormente quando entriamo nella zona spogliatoi. Pieni di preconcetti sui polacchi mai ci saremmo immaginati una pulizia ed una organizzazione del genere. Spogliatoi dove potevi anche camminare scalzo, senza essere nemmeno sfiorato dal timore di contrarre qualche infezione. Un braccialetto di plastica al polso ti permetteva di effettuare qualunque tipo di spesa all'interno della zona acqua senza doverti portare il portafogli nel pacco del costume, come succede da noi.
Ci eravamo ripromessi io e il dutùr di andare al parco acquatico con il solo fine di slumazzare qualche gnocca in costume, spaparanzati in totale relax tutto il pomeriggio, ricaricandoci per la serata.
Con queste premesse dopo 5 minuti ci trovammo coinvolti in una mega partitona a pallavolo in acqua con polacchi dei quali il più grande aveva forse 12 anni. Non so se era più grottesca la faccia del dutùr quando si faceva fare punto da una dodicenne, o le facce impietosite dei genitori dei bambini che assistevano alla disfatta di due trentenni italiani, da parte dei loro bambocci, che sommate assieme tutte le loro età, forse a malapensa si raggiungeva quella mia e del dottore.
Riusciti a sottrarci a fatica da quel siparietto, il dottore finalmente va a saziare il suo desiderio di relax in una tazzona idromassaggio, con acqua stile brodo di giggiule, assieme a due carampane polacche che gli sorrisero per tutta la sessione di idromax, io invece, attratto dalle emozioni forti decisi di provare il megascivolo.
Sopraffatto dalla smania non feci particolare caso al fatto che l'età massima dei suoi utilizzatori era comparabile a quella dei nostri ex compagni di pallavolo.
Salii in cima e mi gettai seduto nella ripidissima lingua di plexiglass male irrigato che conduceva all'acqua.
Un istante dopo l'impatto capii il significato di un cartello che stava ai piedi dell'attrazione. Raccomandava che l'altezza massima degli utilizzatori fosse 1,60 mt.
Il dolore ai talloni rimbombò come una campana lungo tutto il metro e novanta della mia statura, e mi accompagnò per buona parte del soggiorno a Cracovia.
Si attenuava solo a tarda serata, quando il numero di vodke ingerite anestetizzava il dolore almeno fino al mattino.
La sera stessa, con me claudicante, raggiungemmo la piazza centrale di Cracovia, che distava si e no un chilometro dal nostro albergo, il mitico hotel Alexader.
Un giretto tra le bancarelle di ambra, qualche artista di strada, un giro per negozi affascinati da quanto fossero bassi i prezzi rispetto all'italia e si fece subito ora di cena.
Mettemmo pancia verso un bel ristorantino affacciato sulla grande piazza centrale, affidandogli il difficile compito di soddisfare le nostre voraci bocche a poco prezzo. Non deluse le aspettative. Nemmeno le due polacche sedute al tavolo di fianco le delusero, dato che da quando ci eravamo seduti avevano cominciato a guardarci e ridere.
Un pò forse era dovuto alla quantità industriale di cibo che il dutùr continuava ad ordinare, ammaliato dal basso costo delle portate, un pò forse era perchè ci trovavano quanto meno simpatici.
Per chi è abituato al comportamento altezzoso e distaccato delle giovenche del bel paese, provare l'esperienza di una serata in una città come Cracovia può avere quanto meno dell'incredibile, e i primi giorni a volte è quasi imbarazzante.
Si viene guardati ed approcciati da bellissime ragazze, esattamente come noi maschi facciamo qui in italia quando vediamo passare una bella topa per strada.
Fu così che passammo la serata assieme a queste due bellissime ragazze, fuori e dentro da praticamente tutti i localini del centro città, bevendo e offrendo da bere alle nostre nuove compagne ogni dieci minuti, quando loro infatti, in tutta la serata, terminata alle ore cinque in mezzo alla grande piazza oramai deserta, non hanno mai estratto il portafogli dalla borsetta.
In compenso io ed il dutùr lo avevamo sempre in mano ( il portafogli ), ma il basso costo della vita fece si che con la stessa spesa di una mediocre serata a Milano, abbiamo passato una fantastica nottata ridendo, scherzando e ballando assieme a due ragazze che quanto a bellezza avevano ben poco da invidiare alle nostre veline.
Non potevamo ovviamente tirarci indietro dal macchiare una serata così perfetta con il primo due di picche della vacanza.
Prima di congedarci il dutùr mi sussurra nell'orecchio di chiedere alle nostre amiche se gli andava di salire in albergo con noi.
La loro sobria risposta alla mia sbronzissima domanda fu : " Why !? ".
Ci demmo quindi appuntamento per la sera dopo nello stesso posto in cui le abbiamo salutate.
Non le avremmo mai più riviste, anche perchè, come giustamente affermava il dutùr, la ragazza fissa va bene in quando sei in italia, almeno quando siamo in vacanza in polonia vediamo di cambiare.
La sera successiva, dopo una abbondante cena, ed il solito giro di vodke nei localini ,decidemmo di provare i bordelli di Cracovia.
Dopo l'entusiasmante debutto di Bielsko Biala, chissà nella city, pensavamo.
Rimanemmo molto delusi invece.
Verso le 4 del mattino bussammo al vetro di un taxi, il cui conducente stava dormendo dentro ( li si usa così ) e gli chiedemmo di portarci in giro per postriboli.
Per pochi zloti ci fece fare un tour completo del miglior panorama porno che offriva la città.
Piccoli voncissimi scannatoi, pieni di carampane fu quanto scoprimmo essere l'offerta migliore in materia di bagasce che la città poteva offrire.
Il nostro fido accompagnatore ci lasciava entrare per dare una occhiata, si appisolava, e quando dopo pochi minuti ci vedeva uscire sconsolati dall'ennesimo scantinato adibito a scannatoio, aveva già in mente la prossima tappa.
La notte passò così, tra mascara colanti, e sorrisi a denti alternati tenuti assieme da labbroni colorate con rossetti di improbabilissimi colori.
Anche quella notte però ebbe la sua utilità.
Ci fece desistere dall'idea del sesso a pagamento ( vista tra l'altro la squallida offerta) obbligandoci ad impegnarci a superare un pò, almeno li, la nostra timidezza invincibile, per concludere con qualche bellezza locale, conosciuta in maniera tradizionale e pagata quantomeno in beni e servizi e non con banconote.

mercoledì 7 maggio 2008

Notte (e che notte!) a Bielsko-Biala

Come detto il paesaggio slovacco non era molto differente da quello della confinante austria.
Le campagne si estendevano, in soluzione di continuità, dalla periferia di Vienna a quella di Bratislava, senza grosse differenze di sorta.
L'unica differenza fu che, nonostante la nostra velocità di crociera fosse rimasta invariata, e piuttosto modesta, vedere una bella auto circolare per quelle strade non poteva passare inosservato ad uno sbirro appostato dietro un paracarro, che subito allertò il collega che ci precedeva evidentemente di qualche centinaio di metri, e non mancò di fermare la macchina, scendere, e tirare fuori la paletta per fermarci.
Panico!
Essere fermati dalla polizia slovacca, per un ansioso come me significava immaginarsi di li a poco rinchiuso tra quattro fetide mura di un carcere alla periferia di Bratislava, ad interpretare magnificamente l'icona sessuale di decine di carcerati omosessuali bulgari e slovacchi, che attendono momenti come questi allo stesso modo in cui i bambini aspettano il natale per scartare i doni.
Lo sbirro slovacco, dopo un breve giro attorno alla nostra auto, evidentemente apprezzandone la fattura, si rivolse a noi in slovacco stretto.
Del resto è molto probabile che due italiani con macchina targata bergamo capiscano e parlino perfettamente lo slovacco.
Con un timido "do you speak english" provammo a sondare la possibilità di evitare il linguaggio gestuale, per cercare di toglierci da quel primo imprevisto che la nostra avventura ci aveva riservato.
Lo sbirro inizialmente fece finta di non capire, poi iniziò, in un pessimo inglese, a raccontarci tutta una serie di palle della serie che stavamo andando troppo veloci , che avevamo una freccia scheggiata, che i copertoni delle gomme non erano perfettamente lucidi, che faceva ancora troppo freddo per la sagione che era, e che sua moglie non gliela dava da un pò di tempo.
Ora, a fronte di tutta la pappardella, in un inglese che improvvisamente si fece più comprensibile, ci illustrò che avevamo due possibilità.
Essere portati in questura, con tutto quello che ne sarebbe derivato ( vedi sopra ), oppure risolvere la questione pagando a lui in contanti il disturbo.
Lui non quantificò la cifra, il dutùr tirò fuori venti euro dal portafoglio, e improvvisamente gli occhi dello sbirro si illuminarono.
Non solo, iniziò a parlottare in italiano.
"voi italiani eh? Forza Milan etc etc ".
Prese i venti euro, e ci indicò la strada più veloce per raggiungere Bratislava.
Lo salutammo come si saluta un amico, baci e abbracci e risalimmo in macchina.
Iniziammo a capire che dalla slovacchia in poi le multe per eccesso di velocità NON erano affatto un problema ;)
Era già pomeriggio inoltrato, e volevamo raggiungere Cracovia per passare la notte. C'era ancora parecchia strada da fare, quindi ci lasciammo Bratislava alle spalle, accarezzandola sul fianco, percorrendo le sue terribili tangenziali costeggiate da atroci palazzoni bianchi tutti uguali stile alveare, soviet style.
Superata Bratislava fummo costretti a tirare fuori dal bagagliaio per la prima volta la mappa, poiché non ci era del tutto chiara la direzione che dovevamo prendere per raggiungere la nostra prima tappa.
Avevamo due possibilità, passare o non passare per la Repubblica Ceca.
Scegliemmo la prima, ma i numerosi sbagli di strada ci condussero per la seconda rotta.
Avvicinandoci al confine con la Polonia, notammo che la strava iniziava a salire, mentre il sole, oramai iniziava inesorabilmente a scendere.
L'autostrada l'avevamo abbandonata da un pezzo, e la strada si era fatta abbastanza improponibile, della serie che iniziavamo a rimpiangere le tanto bistrattate strade italiane.
I cartelli stradali iniziavano a riportare nomi mai sentiti ed anche difficili da leggere, così che la nostra velocità fu costretta a calare enormemente, per permettere a me di leggere i nomi, cercarli sulla mappa velocemente, ed elaborare un "vai di qui " "vai di li" da dire al dutùr.
Proseguimmo su quella strada semi montuosa per parecchio, fino a quando, come un miraggio, ci apparve davanti agli occhi un cartello che prometteva il confine polacco a 20 chilometri.
Letta quella indicazione stradale ci eravamo già visti di li a un'ora immersi nella tiepida acqua termale di una spa di cracovia, con splendide ragazze in accappatoio che gironzolavano attorno alla vasca.
Il sogno fu infranto quando, superato anche il confine con la Polonia, a sera ormai inoltrata, scoprimmo che Cracovia distava ancora 150 chilometri, che percorsi su di una strada del genere, significava impegarci almeno altre 3 ore.
Stanchi e affamati decidemmo di anticipare la prima tappa al primo paese decente che avremmo incontrato.
Fu così che approdammo a Bielsko-Biala, che rappresentò per noi il biglietto da visita della Polonia.
Non fu difficile trovare un albergo decente. Andammo nel migliore della città, che costava come un albergo una stella italiano, ma offriva invece un servizio, per loro considerato di prima categoria, assimilabile in realtà ad una terza categoria de noaltri.
Almeno aveva il posteggio custodito, unica fissa del dutùr che ci teneva alla macchina.
Il fatto che il custode avesse una delle facce più losche che avessimo mai visto, non smontò la fiducia del dutùr di ritrovare la sua macchina il mattino.
Abbandonata l'audi verde bottiglia nelle mani del losco, caricammo tutti i bagagli in camera, anche se l'indomani mattina saremmo ripartiti, un pò perchè non ci ricordavamo bene le varie cose in quale bagaglio stavano, poi per non lasciare al losco, oltre all'auto, anche tutti i nostri vestiti!
Doccione alla velocità della luce.
Qualche sms a caso, giusto per potersi togliere lo sfizio di dire che si era in Polonia, a Bielsko-Biala per giunta, anche se la cosa ovviamente ai destinatari importava sega, e subito puntello nella Hall col dutùr, per andare a cercare un ristorante.
Fin da quando ero bambino ero solito, quando si era in un posto nuovo, cercare assieme il ristorante affidandosi all'istinto.
Fu così che ho sviluppato questo sesto senso per i posti in cui si mangia bene, indipendentemente dalla zona del mondo in cui mi trovo, e fu così che condussi il dutùr in una simpatica trattoria non distante dal centro, trovata ovviamente per puro caso, in cui per qualche euro, ci riempirono le pance di cibo e le gole di buon vino rosso polacco, proveniente, in tutta probabilità, dai vigneti delle colline che avevamo percorso poche ore prima, bestemmiando perchè non riuscivamo a pernottare a Cracovia.
Con parecchio cibo nello stomaco, ma più probabilmente causa un ettolitro di vino in circolo, anche Bielsko-Biala ci sembrava meglio di quanto ci era parso due ore prima.
Era scesa la notte, per strada non c'era più anima viva.
Non essendo per niente turistico, dopo il tramonto c'è il coprifuoco, e per le strade eravamo rimasti solo noi e qualche barbone, che ci guardava curioso da dietro il bavero del suo cappottone sdrucito.
La stanchezza era molta, ma l'idea di sprecare in un letto, non frequentato da una bionda polacca, la nostra prima notte di vacanza, ci condusse alla ricerca disperata di un pub dove almeno poter bere qualcosa.
Nel buio pesto che era calato non fu difficile individuare il locale poiché la sua insegna coincideva con l'unica fonte luminosa nel raggio di 5 chilometri.
Da fuori sembrava deserto, ma la porta non era chiusa, anzi era socchiusa il giusto da permettere ad un sottofondo musicale, misto a odore di chiuso, di uscire ad indicarci che forse quel posto poteva non essere male come prima serata.
Entrammo e il locale era effettivamente deserto.
Al bancone però c'era una bionda davvero notevole.
Non ricordo il suo viso, ma ricordo invece l'espressione del dutùr quando la graziosa si protese sul banco per domandargli in polacco cosa bevesse, lasciando sdraiare i suoi pesanti seni sul bancone, non trattenuti da una maglietta, troppo scollata per sorreggere simile forza di gravità.
Nell'imbarazzo più totale ordinammo la prima cosa che ci venne in mente, e cosa poteva essere in polonia?
" Two vodka, please ! "
La bionda tettona sorrise, e finalmente capì che non eravamo autoctoni, così iniziò a rivolgersi a noi, in un inglese che, in confronto quello dello sbirro di Bratislava sembrava di Cambridge, però pronunciato da due labbra così sensuali ,a 10 centimetri dalle nostre orecchie, faceva si che ci si iniziò a capire perfettamente.
L'ora tarda, la stanchezza, la vodka, il vino dell'oste, la bionda, e forse soprattutto le sue tette, fecero si che il dutùr mi chiese se potevo chiedere alla giunonica oste come mai le rare persone che entravano nel locale, invece di fermarsi a bere ai tavoli, salissero tutte su per una scala che non avevamo capito bene dove portasse.
Ordinai una seconda vodka e chiesi spiegazione del dubbio che affliggeva il mio amico.
Primo per evitare in tutti i modi che non passasse una serena notte tormentandosi nel nel letto, poi perchè uno dei miei principi generali, specie quando sono in viaggio è "mai avere rimpianti, meglio un milione di rimorsi".
Così nel mio inglese migliore domandai alla giovenca polacca il perchè della scalinata e soprattutto il perchè tutta la gente, solo maschi, saliva, e sembrava non scendere più, almeno nella mezzora che eravamo li.
Il film Hostel non lo avevano ancora girato, così almeno non venni mai baciato dal dubbio che chi saliva di sopra non sarebbe mai sceso perché fatto a pezzi da miliardari schizzati che pagavano milioni per squartare vive le persone.
(- scusate se forse ho fatto un pò di spoiler- ndr )
" Burdèl " o almeno io capii così, fu la risposta.
Il dottore stava per cadere dallo sgabello quando, ormai con il sangue saturo di testosterone, mi supplicò di chiederle se potevamo scegliere, e pagare direttamente lei, che a noi di chi c'era su dalle scale, dopo aver visto quel ben di dio di mammelle ciondolare mozzarellose sul bancone, non poteva fregar de meno.
Rimanemmo molto delusi dalla risposta negativa della giovane polacca.
La sua missione era ufficialmente quella di servire vodke gelide ai forestieri, fungendo però anche da ottima "esca" per quello che si svolgeva al piano di sopra.
Fu così che ci congedammo da lei e ovviamente salimmo le scale.
La scena che ci si presentò davanti, scostati i terribili tendoni color porpora che dividevano la scalinata dal bordello, fu un classico scenario da scannatoio.
Le ragazze erano solo due, come noi.
Ci sedemmo ad un divanetto e ordinammo una quantità industriale di altre vodke, pagandole con la sovratassa, per assistere alle delizione evoluzioni delle due splendide creature che animavano lo squallido locale.
Non sto a scendere nei dettagli di quello che accadde di li a poco, dirò solo che verso le 6 del mattino, quando il primo sole faceva capolino dietro alle montagne, ferendo come pugnali i nostri occhi, oramai abituati all'oscurità di quello squallido bordello, il nostro pensiero fu quello di tornare a trovare le nostre due amiche tutte le sere fino a quando non avessimo finito tutti i soldi.
Rientrammo in hotel che stavano ormai servendo la prima colazione, doccia, forse un paio d'ore di sonno, poi tornammo dal losco a vedere se potevamo ritirare la macchina in maniera agile o se dovevamo contrattarla con la mafia russa, infine, nuovamente a bordo dell'audi verde bottiglia, che il losco di era fin preso la briga di lavarci, facemmo rotta verso Cracovia, che distava oramai solo 5o chilometri.

lunedì 5 maggio 2008

E sem partì

La mattina di inizio agosto in cui lasciai casa mia, per andare a prendere il dutùr, ed incominciare l'avventura, la ricordo ancora molto bene.
Mi ero congedato dall'abitazione con più formalismi del solito.
Avevo salutato mentalmente alcuni oggetti domestici come si saluta chi si immagina di rivedere chissà dopo quanto tempo. Dove chissà quanto tempo poteva essere dopo due settimane, due mesi, due anni, o forse mai.
Nonostante fosse mattina presto non avevo sonno, del resto la notte non ero riuscito a dormire tranquillo.
Fin da quando ero bambino infatti, la notte precedente ad una partenza non l'ho mai passata tranquilla. Quella mattina quindi ero ben sveglio, accompagnato dal mio costante sottofondo d'ansia, fedele compagno, salii in macchina e feci rotta verso Bergamo.
Per l'occasione avevo preparato anche un cd, con musica a mio modo di vedere rigorosamente da viaggio, e ricordo che il primo brano non poteva essere più azzeccato: "e semm partì" di Davide Van DeSfroos.
Ogni viaggio che si rispetti ha la sua colonna sonora, la quale non ha soltanto il compito di accompagnarti lungo il tragitto, ma come un registratore associa immagini ed emozioni ad un suono, così che faccia presa più forte nella nostra memoria.
Ad oggi infatti, passati cinque anni, quando mi capita di ascoltare una delle canzoni contenute in quel cd, ecco che la mia mente si sposta immediatamente su ricordi di accadimenti risalenti a quel viaggio, con tutto il pacchetto di nostalgia che ne consegue.
Quel periodo dell'anno, ovvero i primi di agosto, è uno dei rarissimi momenti in cui l'autostrada milano bergamo è percorribile in maniera umana, ovvero senza che per fare poco più di trenta chilometri sei costretto a impiegare più di un'ora.
Infatti in meno di quaranta minuti arrivai a casa del dutùr, che mi aspettava già di fianco all'audi verde bottiglia, con il suo bagaglio già caricato.
Giusto il tempo di parcheggiare la mia carretta in un punto in cui non passasse il lavaggio strada, e dopo pochi minuti eravamo già in autostrada, direzione Venezia.
Non eravamo partiti nemmeno da mezzora, e già eravamo fermi al primo autogrill. Menu mattina di rito, pieno all'automobile e di nuovo on the road.
I t.i.r. snocciolati in fila indiana come stanchi pachidermi, li superavamo uno dopo l'altro, con noi dietro a fantasticare sulle loro targhe di provenienza ( o di destinazione, chissà ) dicendoci che stavolta anche noi eravamo in competizione con loro quanto a numero di chilometri che avremmo percorso.
Al casello di Mestre i primi problemi di traffico, e la cosa non ci aveva molto sorpreso, in effetti.
E' un prezzo che si sa va pagato, quando si decide di passare da quelle parti, e uno come me che ha speso parecchie estati in macchina in Croazia, lo sa bene.
Lasciato alle spalle l'ingorgo chioggiotto, in poco tempo siamo proiettati sulla Udine - Tarvisio. Autostrada molto suggestiva, a mio modo di vedere, e anche abbstanza sgombera di macchine.
Si era già fatta l'ora di pranzo, e la fame aveva iniziato a farsi sentire. La decisione però era stata quella di attendere l'ingresso in Austria per rifocillarsi. E così fu.
L'aspetto dell'autogrill evidenziava in maniera molto più marcata il fatto di avere lasciato l'Italia, di quanto non lo facessero i resti di una vecchia garritta di frontiera, che da quando è stata "fatta" l'europa è stata abbandonata alle intemperie, con i bacarozzi che prendevano pian piano il posto delle assonnate guardie.
Piazzola di sosta immersa nel verde, pulizia dentro e fuori la struttura e possibilità di pernottare in comode stanze. L'unica cosa che faceva un pò rimpiangere il cosiddetto bel paese era il cibo. Ma una cotoletta "viener style" ed una birra di Baviera, seduti sotto un bel pergolato di glicine, ci aveva assolutamente rifocillato e rimesso in pace con il mondo ;)
La voglia di entrare nell'europa cosiddetta dell'est, ovvero in Slovacchia, ci ha fatto anche rinunciare al consueto sigarro post-prandiale.
Salimmo in macchina, e ad una discreta velocità facemmo proseguimmo il nostro cammino verso Vienna.
Piano piano il traffico aumentava, e mano a mano che ci si avvicinava alla capitale austriaca, aumentavano anche le costruzioni di cemento che andavano lentamente a sostituire le verdi vallate austriache che ci stavamo lasciando alle spalle.
Rapidamente ci trovammo immersi nel traffico, che indipendentemente dal paese in cui ti trovi è sempre abbastanza sfinente, soprattutto per il fatto che si erano fatte circa le 15 del pomeriggio, ed erano quindi ormai parecchie ore che si era in macchina.
Abbandonate le tangenziali di Vienna scopriamo che nostro grande piacere che il confine con la Slovacchia dista non più di una ottantina di kilometri.
Questo significava che in meno di un'ora avremmo estratto per la prima volta il passaporto per entrare nel mitico "est europa".
Quando dall'italia si prende un aereo per una destinazione europea è tutto diverso. Si sale, ci si fa il segno della croce o si tocca ferro, a seconda delle credenze, e in poco tempo ci si trova catapultati nell'aeroporto di destinazione.
Sembrerebbe non manchi nulla. Invece manca una cosa fondamentale: il viaggio!
Il mutare del paesaggio, chilometro dopo chilometro è una sensazione magnifica, per chi ama i viaggi in macchina, e i voli low-cost o meno che siano non potranno mai supplire.
E così noi, abituati ai trasferimenti aerei, prenotati all'ultimo minuto il venerdì sera prima di uscire dall'ufficio, ci immaginavamo, all'ingresso in Slovacchia, di ritrovarci immediatamente immersi in un contesto di est europa, almeno quello in accordo con il nostro immaginario.
Ovviamente non fu così. Il passaggio è dolce. Un pò meno dolci erano le facce degli sbirri slovacchi in frontiera.
" Motivi del viaggio ? "
" Tu - tu - turismo, turismo ! ".
Un veloce timbro al passaporto e via, rotta verso Bratislava.

mercoledì 30 aprile 2008

Posso scendere? Troppo tardi!

La storia ha inizio nel caldo agosto dell'anno duemilatrè.
Già da qualche tempo prima però, sia io, sia colui che sarebbe diventato di li a poco il mio compagno di viaggio, nelle serate primaverili, spese a fumare sigari e bere cognac assieme, avevamo iniziato a fantasticare sulla meta.
Non importava né la distanza da percorrere in auto, né la latitudine, l'importante era che ci fosse gnocca e che non facesse caldo, ché l'afa rendeva insopportabile al dutùr ( così lo chiamerò d'ora in poi ) perfino l'idea del sesso.
Cioè non tanto il sesso in sè, quanto quell'appiccicosissimo dimenarsi e avvinghiarsi di corpi sudaticci, su improbabili letti di squallidi motel ad ore.
Inzialmente quindi avevamo pensato al lago Balaton.
Praticamente la Rimini ungherese, con la differenza che le ungheresi gnocche sono tutte nella Rimini, quella vera, a dimenarsi sui cubi dei vari locali notturni, e al Balaton hanno lasciato i loro genitori depressi, oppure, in alternativa, ci trovi gli austriaci squattrinati, che il massimo che si possono permettere è una villetta sulle sponde del Balaton.
Scartata la meta lacustro-ungherese quindi, ipotizziamo come seconda opzione l'inflazionatissimo Capo Nord.
Il problema è che se ci vai in porche, fermandoti nei migliori alberghi delle varie capitali che incontri, allora ha un senso, ma se ci vai da pezzente rischi che arrivato ad Amsterdam, getti l'ancora e carbonizzi il budget di un mese di vacanza in una settimana di canne e bagasce.
Scartata quindi anche la possibilità di raggiungere il punto più a nord d'europa, raggiungibile sulla terra ferma, decidiamo che la nostra meta doveva essere la Polonia. Meta di devoti pellegrini, e di grandi puttanieri. Vi lascio immaginare noi a quale categoria apparteniamo.
Bene, decisa la meta non rimaneva che decidere il mezzo di trasporto.
Affittare un camper, a parte il fatto che costava troppo, poi scattava troppo l'effetto famigliola felice in vacanza, inoltre avevamo bisogno di "indipendenza notturna", e non solo per problemi di roncopatia.
Rimaneva quindi perseguibile solo l'opzione automobile.
Del resto i viaggi on the road sono per definizione fatti in macchina.
Per uno come me poi, che ha visto forse venti volte il film Marrakech-Express ( e questo blog, a partire dal titolo, sarà farcito di citazioni e di rimandi a quel film) , non era possibile pensare ad un mezzo di trasporto diverso dall'automobile per un viaggio del genere.
Condiderando però che la mia era già tanto se ci portava sani e salvi a Bergamo, la scelta dell'audi verde bottiglia del dutùr è stata quasi una scelta obbligata.
Quando stai in macchina per molto tempo, presto ti accorgi che non è solo un mezzo di trasporto, ma è una compagna di viaggio anche lei, ed anche la più importante, ché se ti lascia a piedi il viaggio è finito.
Percepisci chilometro dopo chilometro i segni del viaggio anche su di lei.
I moscerini spalmati sul vetro che crescono esponenzialmente, la carrozzeria che si sporca piano piano, fino a quando, come nel celebre film, abbiamo potuto scriverci con le dita, sulla fiancata sinistra: MilanoCracoviaExpress.
Il bagaglio era semplice, cioè poco o niente.
Qualche maglione, pantaloni jeans e di fustagno, un paio di camice e scarpe da ginnastica.
L'unica cosa che ci dispiaceva è che sicuramente in quei posti non avremmo di certo trovato i toscanelli anisette, ai quali siamo tanto affezionati, e che ci saremmo dovuti accontentare di qualche sottomarca al limite del fumabile.
Ci eravamo comunque portati una piccola scorta personale, ma per non destare troppi sospetti alle varie dogane che avremmo dovuto attraversare, ci siamo accontentati di un'autonomia di qualche giorno, consolandoci col pensiero che in quei posti avremmo potuto facilmente rimpiazzare il vizio del fumo con quello del bere.
In quel periodo io ero in una di quelle fasi della vita in cui qualunque cosa ti da noia.
Il caldo non faceva altro che rendere il tutto ancora più insopportabile.
L'idea di un lungo viaggio in macchina mi affascinava molto anche perchè, come nei film che preferisco, esiste sempre la possibilità di decidere di rimanere la.
In un posto qualunque, magari dal nome difficile da scrivere, che tanto non c'è nessuno che ti deve scrivere lettere.
Su questo ricordo che il dutùr sosteneva che poteva scattare un pò l'effetto "extraterrestre" della celebre canzone di Finardi.
All'epoca non ero convinto, adesso forse sto iniziando a dargli abbastanza ragione anche su questo. Inoltre ero dell'idea che un lungo viaggio attraverso quelle terre pullulanti di gnocca poteva ingelosire un pò le varie squinzie che mi gravitavano attorno in quel momento, e potesse contribuire ad avvicinarle in maniera più stabile a me. Ovviamente non è andata così, ma arriviamoci per gradi.

Premessa

Questo non sarà il solito blog. Nel senso che non andrò a raccontare quello che la vita mi concederà da adesso in poi, giorno dopo giorno, ma racconterò un mese di vita passata.
Un agosto di cinque anni fa in cui sono successe molte cose.
Facce, chilometri, amicizia, amori, paesaggi, liquori...
Queste le prime immagini che mi vengono alla mente ripensando a quell'ormai lontano agosto, in cui, mentre la maggioranza dei nostri conoscenti e amici era, o spalmata su qualche spiaggia sotto la canicola della terribile estate duemilatrè, o a inseguire camosci su qualche alpeggio non troppo distante da Milano che non si sa mai, io e un buon compagno di viaggio, nonché grande amico, eravamo "accrocchiati" ( e da qui il titolo del blog ) in una macchina verde bottiglia lanciati a grande velocità verso dove i nostri occhi ci avrebbero guidati.
Di mappe e navigatori non ne volevamo nemmeno sentire parlare!
Buona lettura ;)