venerdì 30 maggio 2008

Arbeit macht frei

Anche due vitelloni italiani come me e il dottore non potevano, trovandosi in quel di Cracovia, non fare visita al campo di concentramento di Auschwitz.
Questo ovviamente è il nome che i nazisti diedero al paesino di Oświęcim, sottraendogli perfino la dignità ai polacchi di dare un nome alle loro città.
Dal centro città, in auto, anche sbagliando strada, in meno di un'ora ci si arriva.
La giornata era abbastanza soleggiata, ma il caldo era sopportabile, un pò meno lo era il dolore al mio tallone, risultato della giornata precedente al parco acquatico.
Claudicando ci avviamo all'ingresso della zona "museo", quello che era il campo di sterminio infatti, adesso è stato adibito a museo, il campo di concentramento invece, che dista meno di un chilometro, prende il nome di Birkenau, e lo abbiamo tenuto per la seconda parte della giornata.
All'ingresso del museo moltissima gente affolla la ampia sala dove cartelli in tutte le lingue spiegano nel dettaglio tutta la vasta programmazione giornaliera di visite guidate e audio guide.
Io e il dottore che detestiamo le gite guidate, ovviamente decidiamo di visitarcelo da soli.
Anche perchè ad ogni passo, un cartello multilingua, come un eco della memoria racconta e descrive l'orribile scenario che regnava in quel punto nemmeno poi tanti anni orsono.
Ricordo che uno dei primi pensieri che attraversò la mia mente, girando per il campo, fu che tutti gli alberi presenti, molto probabilmente, sono stati testimoni di quanto accaduto.
Il pensiero che quella stessa corteccia, alla quale appoggiavo la schiena per riposare un secondo, potesse essere stata avvolta, un pò di anni prima, dall'acre e macabro fumo proveniente dai comignoli che avevo davanti ai miei occhi, era una cosa che mi rattristava moltissimo.
Ma gli alberi non provano sentimenti, e le loro foglie vanno dove tira il vento, senza curarsi molto delle conseguenze, e il vento infatti in quegli anni era di un nero soffocante, ma le loro foglie sono rimaste verdi come la speranza, la speranza di una fine, che finalmente prima o poi è arrivata.
Credo che ognuno di noi dovrebbe, almeno una volta nella vita, farsi un giro da quelle parti, per rendersi conto la follia umana a cosa può arrivare, e, cosa ancor più tragica, non quella di un singolo individuo, ma di una nazione intera!
Soprattutto perché di "lager" è ancora pieno il mondo, hanno nomi diversi, li camuffano con nomi del tipo CPT, Guantanamo, Bolzaneto, ma il minimo comune denominatore è identico, ovvero la violenza dell'uomo su altri simili privati della propria dignità.
Uscimmo dal museo di Auschwitz verso l'ora di pranzo, e in un baracchino antistante l'ingresso consumammo un paio di bibite ed un panino con il wurstel.
Dopo la sosta, passata quasi in silenzio rimuginando sulla atroce galleria di immagini che la nostra mente aveva conservato, salimmo nuovamente in auto per andare a visitare anche il campo di concentramento, ovvero dove i deportati arrivavano e venivano smistati.
Da una parte del binario gli "abili" ai lavori forzati, dall'altra i morti, ovvero i destinati al campo di sterminio.
Quello che terrorizza varcando l'ingresso di Birkenau è l'immensa vastità del campo. Si estende quasi a perdita d'occhio. Migliaia di baracche, originariamente stalle concepite per ospitare 25 cavalli, contenevano circa 150 esseri umani ognuna.
In ogni "letto", cioè quattro assi una affianco dell'altra vi erano ammassate decine di mucchietti di ossa con occhi, ovvero quel che rimaneva degli uomini, donne e bambini che venivano "ospitati" nel campo, per guadagnarsi la "libertà" col lavoro.
Anche il pomeriggio trascorse in fretta, passeggiando per i lunghissimi viali del campo, con il mio piede che piano piano si era fatto sempre meno dolorante, ché il dolore fisico aveva piano piano lasciato il posto ad un dolore psicologico, una grossa tristezza innscata dalla visita a quei luoghi.
Il viaggio di ritorno in macchina trascorse in silenzio, mentre dall'autoradio accesa salivano le note che accompagnavano questa canzone:

Son morto ch'ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
e ora sono nel vento
Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento
Nei campi tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano, non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come puo` un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone
ancora non e` contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sara`
che un uomo potra` imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà

venerdì 23 maggio 2008

Cracovia night life

Da quella sera abbandonammo l'idea dei bordelli per sposare quella dei localini sotterranei.
Una cosa che mi colpì fin da subito è che li la musica comincia, giustamente, verso le nove e mezza di sera, non come da noi dove per iniziare a ballare devi aspettare l'una di notte. In questo modo la gente può permettersi di divertirsi anche durante le serate infrasettimanali, e non solo il venerdì o sabato.
Qua da noialtri infatti se vai a ballare in settimana trovi solo papponi, mantenute e studenti. Il resto della gente la mattina dopo deve alzarsi per andare a lavorare e non può permettersi di aspettare l'una di notte per ballare.
Così io e il dutùr, dopo pantagrueliche cene, e un breve giretto di perlustrazione attorno alla piazza, giusto il tempo di un sigaro, ci si buttava sempre nelle tunz-tunz cantine a vedere un pò che aria tirava. Un aria, ma un aria, che mancava l'aria!!
L'ingresso non è omaggio, costa l'equivalente di un euro circa per entrare, poi dentro paghi quello che bevi. E stando alle capacità metaboliche dei nostri fegati si spendeva una cifra :)
Ricordo una sera, mentre ci si trascinava, ubriachissimi, in albergo, passando davanti all'ennesimo localino domandai al dottore se avevamo il timbrino anche di quel posto li, che nel caso si potevano fare gli ultimi due salti.
" Dutùr, noi abbiamo pagato tutti! " fu la sua risposta.
Riflettendo su questa constatazione decidemmo comunque di soprassedere, per quella sera, e filammo diritti sotto le coperte.
Quella notte, ricordo, prima di addormentarmi riflettevo sul perchè basta allontanarsi di qualche chilometro da Milano, non necessariamente fino in Polonia, per constatare che le ragazze, ma la gente più in generale, ha un approccio completamente differente. Le ragazze polacche poi in estate, visto che è molto breve, e nemmeno troppo calda, approfittano per sfoggiare gli indumenti più leggeri che abitano il loro guardaroba. Ed è così che quando tu passeggiando per il centro di Cracovia, in una giornata uggiosa di inizio agosto, con un clima paragonabile a quello che da noi c'è agli inizi di ottobre, vedi queste splendide fanciulle passeggiare con il corpo coperto solo da pochi centimetri quadrati di stoffa. Oltretutto queste simpatiche signorine non è che come da noi, quando di rado vedi qualche modellina vestita in maniera simile, passeggiano tirandosela all'inverosimile, con lo sguardo basso a terra, con il rischio di andare addirittura a sbattere contro ad un palo piuttosto che rischiare di incrociare il tuo sguardo, no, queste svestitissime polacche slumazzano pure i maschietti che gli garbano, decorando i loro sguardi con ammiccamenti che solo io e il dutùr, nella nostra più totale insicurezza , potevamo ignorare e a volte addirittura, cambiare strada.
Oltre al fondo di insicurezza persistiva in noi, fin dalla partenza dall'Italia, il sospetto che le ragazze dell'est cerchino di intortare i bei ragazzi italiani con la speranza di essere portate via dal loro paese.
Ovviamente questa cosa poteva essere sensata qualche anno fa, in tempi di regime comunista, adesso che la Polonia è più all'avanguardia di noi in quasi tutti i settori, tale paura è del tutto infondata.
Infatti tutto il loro civettare per le strade, imparammo con l'esperienza, non era affatto sinonimo di sesso facile, anzi.
Ci si divertiva assieme, magari, si passava una bella serata e nulla più.
Chissà quando anche da noialtri le donne carine capiranno che non è strettamente necessario comportarsi sempre, quando hanno davanti una persona del sesso opposto, come se ognuna di loro fosse l'unica ad avere il privilegio di essere seduta sulla loro fortuna!

sabato 10 maggio 2008

Le ragazze della notte

Cracovia. Ricordo che la prima volta me ne parò mio cugino.
Lui si che di est se ne intendeva.
Più grande di me di una decina di anni, aveva speso periodi memorabili nell'est, quello vero. I suoi racconti allietavano le noiosissime serate di quando ti trovi coi parenti, e sei costretto per ore ad ascoltare le baggianate di tutti loro.
Giovanni invece raccontava dei suoi amori lasciati qua e la. Ad est. E io, inchiodato sempre tra le solite quattro mura, assieme alle solite persone, fantasticavo parecchio quando mi parlava di posti quali San Pietroburgo, Mosca, Cracovia e impronunciabili città della Romania.
Fu quindi lui a consigliarmi Cracovia, non direttamente, ma con quanto andava raccontando.
Cittadina molto bella dal punto di vista architettonico, ma anche città universitaria. Piena di ragazzi giovani e con un centro città che pullula di vita.
Decine di localini dai nomi improbabili tutti sotto terra. Accrocchiatissime scalinate ti conducono in cantine adibite a discoteche, dove con una manciata di euro riesci a ordinare una quantità di vodke sufficiente a mettere in affanno fegati allenatissimi quali il mio e quello del dutùr.
La prima sera me la ricordo bene. Fuori e dentro da tutti i locali del centro città.
Le mani tatuate di timbrini manco fossimo i discendenti di qualche sconosciuta tribù polnesiana, le gambe oramai vacillanti dopo l'ennesima vodka e il quattrocentesimo scalino salito. Verso le quattro del mattino, nonostante lo stato alcolico fosse quello derivante da quanto appena descritto, il dutùr lamenta un lieve appetito, e come non dare corso al suo istinto quando si sta passando davanti alle insegne di un mc donald ?
Mecco è sempre Mecco, anche a Cracovia ha sempre il suo fascino.
Soprattutto quando alle 4 del mattino hai una fame pazzesca, e sai che l'unica possibilità di sfamarti è fare l'ennesimo affronto al tuo fegato, offrendgli un BigMacMenu.
Hamburgher, patatine, birra, e quel che restava della notte passato abbracciato alla tazza del water a vomitare anche l'anima.
L'indomani mattina, davanti ad una tazza di the, nella sala breakfast dell'hotel, a ragionare sul fatto che sicuramente fu un colpo di freddo, la famosa "diagonale", a mettere KO le nostre budella, mica le vodka, noi si che lo si reggeva l'alcol !
Quella mattina ci ripromettemmo che ci avremmo dato un taglio all'alcol, non sapendo che dovevamo ancora cominciare a bere seriamente.
Il giorno a Cracovia passava abbastanza velocemente, primo perchè prima di mezzogiorno non si metteva il naso fuori dall'hotel, secondo perchè di giorno tutte le ragazze polacche carine erano al lavoro ( giustamente ) quindi a noi interessava ciò che accadeva dall'imbrunire in poi, quando le belle polacche, restaurate per la serata, iniziavano a gravitare lungo il perimetro dell'immensa piazza, tracciando lunghe e regolari orbite alla ricerca di qualcuno che gli sponsorizzasse la serata.
Resta il fatto che per vivere la notte, in qualche modo il giorno andava speso.
Ad agosto a Cracovia non fa affatto caldo, almeno quell'estate. Fatto sta però che una mattina la receptionist dell'hotel ci parlò di un parco acquatico al coperto, proprio in periferia di Cracovia.
Ci scrive nome , indirizzo e numero di telefono su di un bigliettino che ancora conservo, e ci augura buon divertimento.
Trovare il parco acquatico è stato tutto tranne che semplice, ad ogni semaforo eravamo fermi a chiedere informazioni mostrando alla gente il famoso bigliettino.
Finalmente dopo numerosi giri arriviamo davanti al parco acquatico. La struttura era già da fuori molto imponente. Immaginate l'acquatica di Milano avvolta in una immensa struttura di vetro, che lascia entrare la luce, scaldando i vetri a mo' di effetto serra, dando l'illusione di essere in un posto caldo.
Rimaniamo impressionati ulteriormente quando entriamo nella zona spogliatoi. Pieni di preconcetti sui polacchi mai ci saremmo immaginati una pulizia ed una organizzazione del genere. Spogliatoi dove potevi anche camminare scalzo, senza essere nemmeno sfiorato dal timore di contrarre qualche infezione. Un braccialetto di plastica al polso ti permetteva di effettuare qualunque tipo di spesa all'interno della zona acqua senza doverti portare il portafogli nel pacco del costume, come succede da noi.
Ci eravamo ripromessi io e il dutùr di andare al parco acquatico con il solo fine di slumazzare qualche gnocca in costume, spaparanzati in totale relax tutto il pomeriggio, ricaricandoci per la serata.
Con queste premesse dopo 5 minuti ci trovammo coinvolti in una mega partitona a pallavolo in acqua con polacchi dei quali il più grande aveva forse 12 anni. Non so se era più grottesca la faccia del dutùr quando si faceva fare punto da una dodicenne, o le facce impietosite dei genitori dei bambini che assistevano alla disfatta di due trentenni italiani, da parte dei loro bambocci, che sommate assieme tutte le loro età, forse a malapensa si raggiungeva quella mia e del dottore.
Riusciti a sottrarci a fatica da quel siparietto, il dottore finalmente va a saziare il suo desiderio di relax in una tazzona idromassaggio, con acqua stile brodo di giggiule, assieme a due carampane polacche che gli sorrisero per tutta la sessione di idromax, io invece, attratto dalle emozioni forti decisi di provare il megascivolo.
Sopraffatto dalla smania non feci particolare caso al fatto che l'età massima dei suoi utilizzatori era comparabile a quella dei nostri ex compagni di pallavolo.
Salii in cima e mi gettai seduto nella ripidissima lingua di plexiglass male irrigato che conduceva all'acqua.
Un istante dopo l'impatto capii il significato di un cartello che stava ai piedi dell'attrazione. Raccomandava che l'altezza massima degli utilizzatori fosse 1,60 mt.
Il dolore ai talloni rimbombò come una campana lungo tutto il metro e novanta della mia statura, e mi accompagnò per buona parte del soggiorno a Cracovia.
Si attenuava solo a tarda serata, quando il numero di vodke ingerite anestetizzava il dolore almeno fino al mattino.
La sera stessa, con me claudicante, raggiungemmo la piazza centrale di Cracovia, che distava si e no un chilometro dal nostro albergo, il mitico hotel Alexader.
Un giretto tra le bancarelle di ambra, qualche artista di strada, un giro per negozi affascinati da quanto fossero bassi i prezzi rispetto all'italia e si fece subito ora di cena.
Mettemmo pancia verso un bel ristorantino affacciato sulla grande piazza centrale, affidandogli il difficile compito di soddisfare le nostre voraci bocche a poco prezzo. Non deluse le aspettative. Nemmeno le due polacche sedute al tavolo di fianco le delusero, dato che da quando ci eravamo seduti avevano cominciato a guardarci e ridere.
Un pò forse era dovuto alla quantità industriale di cibo che il dutùr continuava ad ordinare, ammaliato dal basso costo delle portate, un pò forse era perchè ci trovavano quanto meno simpatici.
Per chi è abituato al comportamento altezzoso e distaccato delle giovenche del bel paese, provare l'esperienza di una serata in una città come Cracovia può avere quanto meno dell'incredibile, e i primi giorni a volte è quasi imbarazzante.
Si viene guardati ed approcciati da bellissime ragazze, esattamente come noi maschi facciamo qui in italia quando vediamo passare una bella topa per strada.
Fu così che passammo la serata assieme a queste due bellissime ragazze, fuori e dentro da praticamente tutti i localini del centro città, bevendo e offrendo da bere alle nostre nuove compagne ogni dieci minuti, quando loro infatti, in tutta la serata, terminata alle ore cinque in mezzo alla grande piazza oramai deserta, non hanno mai estratto il portafogli dalla borsetta.
In compenso io ed il dutùr lo avevamo sempre in mano ( il portafogli ), ma il basso costo della vita fece si che con la stessa spesa di una mediocre serata a Milano, abbiamo passato una fantastica nottata ridendo, scherzando e ballando assieme a due ragazze che quanto a bellezza avevano ben poco da invidiare alle nostre veline.
Non potevamo ovviamente tirarci indietro dal macchiare una serata così perfetta con il primo due di picche della vacanza.
Prima di congedarci il dutùr mi sussurra nell'orecchio di chiedere alle nostre amiche se gli andava di salire in albergo con noi.
La loro sobria risposta alla mia sbronzissima domanda fu : " Why !? ".
Ci demmo quindi appuntamento per la sera dopo nello stesso posto in cui le abbiamo salutate.
Non le avremmo mai più riviste, anche perchè, come giustamente affermava il dutùr, la ragazza fissa va bene in quando sei in italia, almeno quando siamo in vacanza in polonia vediamo di cambiare.
La sera successiva, dopo una abbondante cena, ed il solito giro di vodke nei localini ,decidemmo di provare i bordelli di Cracovia.
Dopo l'entusiasmante debutto di Bielsko Biala, chissà nella city, pensavamo.
Rimanemmo molto delusi invece.
Verso le 4 del mattino bussammo al vetro di un taxi, il cui conducente stava dormendo dentro ( li si usa così ) e gli chiedemmo di portarci in giro per postriboli.
Per pochi zloti ci fece fare un tour completo del miglior panorama porno che offriva la città.
Piccoli voncissimi scannatoi, pieni di carampane fu quanto scoprimmo essere l'offerta migliore in materia di bagasce che la città poteva offrire.
Il nostro fido accompagnatore ci lasciava entrare per dare una occhiata, si appisolava, e quando dopo pochi minuti ci vedeva uscire sconsolati dall'ennesimo scantinato adibito a scannatoio, aveva già in mente la prossima tappa.
La notte passò così, tra mascara colanti, e sorrisi a denti alternati tenuti assieme da labbroni colorate con rossetti di improbabilissimi colori.
Anche quella notte però ebbe la sua utilità.
Ci fece desistere dall'idea del sesso a pagamento ( vista tra l'altro la squallida offerta) obbligandoci ad impegnarci a superare un pò, almeno li, la nostra timidezza invincibile, per concludere con qualche bellezza locale, conosciuta in maniera tradizionale e pagata quantomeno in beni e servizi e non con banconote.

mercoledì 7 maggio 2008

Notte (e che notte!) a Bielsko-Biala

Come detto il paesaggio slovacco non era molto differente da quello della confinante austria.
Le campagne si estendevano, in soluzione di continuità, dalla periferia di Vienna a quella di Bratislava, senza grosse differenze di sorta.
L'unica differenza fu che, nonostante la nostra velocità di crociera fosse rimasta invariata, e piuttosto modesta, vedere una bella auto circolare per quelle strade non poteva passare inosservato ad uno sbirro appostato dietro un paracarro, che subito allertò il collega che ci precedeva evidentemente di qualche centinaio di metri, e non mancò di fermare la macchina, scendere, e tirare fuori la paletta per fermarci.
Panico!
Essere fermati dalla polizia slovacca, per un ansioso come me significava immaginarsi di li a poco rinchiuso tra quattro fetide mura di un carcere alla periferia di Bratislava, ad interpretare magnificamente l'icona sessuale di decine di carcerati omosessuali bulgari e slovacchi, che attendono momenti come questi allo stesso modo in cui i bambini aspettano il natale per scartare i doni.
Lo sbirro slovacco, dopo un breve giro attorno alla nostra auto, evidentemente apprezzandone la fattura, si rivolse a noi in slovacco stretto.
Del resto è molto probabile che due italiani con macchina targata bergamo capiscano e parlino perfettamente lo slovacco.
Con un timido "do you speak english" provammo a sondare la possibilità di evitare il linguaggio gestuale, per cercare di toglierci da quel primo imprevisto che la nostra avventura ci aveva riservato.
Lo sbirro inizialmente fece finta di non capire, poi iniziò, in un pessimo inglese, a raccontarci tutta una serie di palle della serie che stavamo andando troppo veloci , che avevamo una freccia scheggiata, che i copertoni delle gomme non erano perfettamente lucidi, che faceva ancora troppo freddo per la sagione che era, e che sua moglie non gliela dava da un pò di tempo.
Ora, a fronte di tutta la pappardella, in un inglese che improvvisamente si fece più comprensibile, ci illustrò che avevamo due possibilità.
Essere portati in questura, con tutto quello che ne sarebbe derivato ( vedi sopra ), oppure risolvere la questione pagando a lui in contanti il disturbo.
Lui non quantificò la cifra, il dutùr tirò fuori venti euro dal portafoglio, e improvvisamente gli occhi dello sbirro si illuminarono.
Non solo, iniziò a parlottare in italiano.
"voi italiani eh? Forza Milan etc etc ".
Prese i venti euro, e ci indicò la strada più veloce per raggiungere Bratislava.
Lo salutammo come si saluta un amico, baci e abbracci e risalimmo in macchina.
Iniziammo a capire che dalla slovacchia in poi le multe per eccesso di velocità NON erano affatto un problema ;)
Era già pomeriggio inoltrato, e volevamo raggiungere Cracovia per passare la notte. C'era ancora parecchia strada da fare, quindi ci lasciammo Bratislava alle spalle, accarezzandola sul fianco, percorrendo le sue terribili tangenziali costeggiate da atroci palazzoni bianchi tutti uguali stile alveare, soviet style.
Superata Bratislava fummo costretti a tirare fuori dal bagagliaio per la prima volta la mappa, poiché non ci era del tutto chiara la direzione che dovevamo prendere per raggiungere la nostra prima tappa.
Avevamo due possibilità, passare o non passare per la Repubblica Ceca.
Scegliemmo la prima, ma i numerosi sbagli di strada ci condussero per la seconda rotta.
Avvicinandoci al confine con la Polonia, notammo che la strava iniziava a salire, mentre il sole, oramai iniziava inesorabilmente a scendere.
L'autostrada l'avevamo abbandonata da un pezzo, e la strada si era fatta abbastanza improponibile, della serie che iniziavamo a rimpiangere le tanto bistrattate strade italiane.
I cartelli stradali iniziavano a riportare nomi mai sentiti ed anche difficili da leggere, così che la nostra velocità fu costretta a calare enormemente, per permettere a me di leggere i nomi, cercarli sulla mappa velocemente, ed elaborare un "vai di qui " "vai di li" da dire al dutùr.
Proseguimmo su quella strada semi montuosa per parecchio, fino a quando, come un miraggio, ci apparve davanti agli occhi un cartello che prometteva il confine polacco a 20 chilometri.
Letta quella indicazione stradale ci eravamo già visti di li a un'ora immersi nella tiepida acqua termale di una spa di cracovia, con splendide ragazze in accappatoio che gironzolavano attorno alla vasca.
Il sogno fu infranto quando, superato anche il confine con la Polonia, a sera ormai inoltrata, scoprimmo che Cracovia distava ancora 150 chilometri, che percorsi su di una strada del genere, significava impegarci almeno altre 3 ore.
Stanchi e affamati decidemmo di anticipare la prima tappa al primo paese decente che avremmo incontrato.
Fu così che approdammo a Bielsko-Biala, che rappresentò per noi il biglietto da visita della Polonia.
Non fu difficile trovare un albergo decente. Andammo nel migliore della città, che costava come un albergo una stella italiano, ma offriva invece un servizio, per loro considerato di prima categoria, assimilabile in realtà ad una terza categoria de noaltri.
Almeno aveva il posteggio custodito, unica fissa del dutùr che ci teneva alla macchina.
Il fatto che il custode avesse una delle facce più losche che avessimo mai visto, non smontò la fiducia del dutùr di ritrovare la sua macchina il mattino.
Abbandonata l'audi verde bottiglia nelle mani del losco, caricammo tutti i bagagli in camera, anche se l'indomani mattina saremmo ripartiti, un pò perchè non ci ricordavamo bene le varie cose in quale bagaglio stavano, poi per non lasciare al losco, oltre all'auto, anche tutti i nostri vestiti!
Doccione alla velocità della luce.
Qualche sms a caso, giusto per potersi togliere lo sfizio di dire che si era in Polonia, a Bielsko-Biala per giunta, anche se la cosa ovviamente ai destinatari importava sega, e subito puntello nella Hall col dutùr, per andare a cercare un ristorante.
Fin da quando ero bambino ero solito, quando si era in un posto nuovo, cercare assieme il ristorante affidandosi all'istinto.
Fu così che ho sviluppato questo sesto senso per i posti in cui si mangia bene, indipendentemente dalla zona del mondo in cui mi trovo, e fu così che condussi il dutùr in una simpatica trattoria non distante dal centro, trovata ovviamente per puro caso, in cui per qualche euro, ci riempirono le pance di cibo e le gole di buon vino rosso polacco, proveniente, in tutta probabilità, dai vigneti delle colline che avevamo percorso poche ore prima, bestemmiando perchè non riuscivamo a pernottare a Cracovia.
Con parecchio cibo nello stomaco, ma più probabilmente causa un ettolitro di vino in circolo, anche Bielsko-Biala ci sembrava meglio di quanto ci era parso due ore prima.
Era scesa la notte, per strada non c'era più anima viva.
Non essendo per niente turistico, dopo il tramonto c'è il coprifuoco, e per le strade eravamo rimasti solo noi e qualche barbone, che ci guardava curioso da dietro il bavero del suo cappottone sdrucito.
La stanchezza era molta, ma l'idea di sprecare in un letto, non frequentato da una bionda polacca, la nostra prima notte di vacanza, ci condusse alla ricerca disperata di un pub dove almeno poter bere qualcosa.
Nel buio pesto che era calato non fu difficile individuare il locale poiché la sua insegna coincideva con l'unica fonte luminosa nel raggio di 5 chilometri.
Da fuori sembrava deserto, ma la porta non era chiusa, anzi era socchiusa il giusto da permettere ad un sottofondo musicale, misto a odore di chiuso, di uscire ad indicarci che forse quel posto poteva non essere male come prima serata.
Entrammo e il locale era effettivamente deserto.
Al bancone però c'era una bionda davvero notevole.
Non ricordo il suo viso, ma ricordo invece l'espressione del dutùr quando la graziosa si protese sul banco per domandargli in polacco cosa bevesse, lasciando sdraiare i suoi pesanti seni sul bancone, non trattenuti da una maglietta, troppo scollata per sorreggere simile forza di gravità.
Nell'imbarazzo più totale ordinammo la prima cosa che ci venne in mente, e cosa poteva essere in polonia?
" Two vodka, please ! "
La bionda tettona sorrise, e finalmente capì che non eravamo autoctoni, così iniziò a rivolgersi a noi, in un inglese che, in confronto quello dello sbirro di Bratislava sembrava di Cambridge, però pronunciato da due labbra così sensuali ,a 10 centimetri dalle nostre orecchie, faceva si che ci si iniziò a capire perfettamente.
L'ora tarda, la stanchezza, la vodka, il vino dell'oste, la bionda, e forse soprattutto le sue tette, fecero si che il dutùr mi chiese se potevo chiedere alla giunonica oste come mai le rare persone che entravano nel locale, invece di fermarsi a bere ai tavoli, salissero tutte su per una scala che non avevamo capito bene dove portasse.
Ordinai una seconda vodka e chiesi spiegazione del dubbio che affliggeva il mio amico.
Primo per evitare in tutti i modi che non passasse una serena notte tormentandosi nel nel letto, poi perchè uno dei miei principi generali, specie quando sono in viaggio è "mai avere rimpianti, meglio un milione di rimorsi".
Così nel mio inglese migliore domandai alla giovenca polacca il perchè della scalinata e soprattutto il perchè tutta la gente, solo maschi, saliva, e sembrava non scendere più, almeno nella mezzora che eravamo li.
Il film Hostel non lo avevano ancora girato, così almeno non venni mai baciato dal dubbio che chi saliva di sopra non sarebbe mai sceso perché fatto a pezzi da miliardari schizzati che pagavano milioni per squartare vive le persone.
(- scusate se forse ho fatto un pò di spoiler- ndr )
" Burdèl " o almeno io capii così, fu la risposta.
Il dottore stava per cadere dallo sgabello quando, ormai con il sangue saturo di testosterone, mi supplicò di chiederle se potevamo scegliere, e pagare direttamente lei, che a noi di chi c'era su dalle scale, dopo aver visto quel ben di dio di mammelle ciondolare mozzarellose sul bancone, non poteva fregar de meno.
Rimanemmo molto delusi dalla risposta negativa della giovane polacca.
La sua missione era ufficialmente quella di servire vodke gelide ai forestieri, fungendo però anche da ottima "esca" per quello che si svolgeva al piano di sopra.
Fu così che ci congedammo da lei e ovviamente salimmo le scale.
La scena che ci si presentò davanti, scostati i terribili tendoni color porpora che dividevano la scalinata dal bordello, fu un classico scenario da scannatoio.
Le ragazze erano solo due, come noi.
Ci sedemmo ad un divanetto e ordinammo una quantità industriale di altre vodke, pagandole con la sovratassa, per assistere alle delizione evoluzioni delle due splendide creature che animavano lo squallido locale.
Non sto a scendere nei dettagli di quello che accadde di li a poco, dirò solo che verso le 6 del mattino, quando il primo sole faceva capolino dietro alle montagne, ferendo come pugnali i nostri occhi, oramai abituati all'oscurità di quello squallido bordello, il nostro pensiero fu quello di tornare a trovare le nostre due amiche tutte le sere fino a quando non avessimo finito tutti i soldi.
Rientrammo in hotel che stavano ormai servendo la prima colazione, doccia, forse un paio d'ore di sonno, poi tornammo dal losco a vedere se potevamo ritirare la macchina in maniera agile o se dovevamo contrattarla con la mafia russa, infine, nuovamente a bordo dell'audi verde bottiglia, che il losco di era fin preso la briga di lavarci, facemmo rotta verso Cracovia, che distava oramai solo 5o chilometri.

lunedì 5 maggio 2008

E sem partì

La mattina di inizio agosto in cui lasciai casa mia, per andare a prendere il dutùr, ed incominciare l'avventura, la ricordo ancora molto bene.
Mi ero congedato dall'abitazione con più formalismi del solito.
Avevo salutato mentalmente alcuni oggetti domestici come si saluta chi si immagina di rivedere chissà dopo quanto tempo. Dove chissà quanto tempo poteva essere dopo due settimane, due mesi, due anni, o forse mai.
Nonostante fosse mattina presto non avevo sonno, del resto la notte non ero riuscito a dormire tranquillo.
Fin da quando ero bambino infatti, la notte precedente ad una partenza non l'ho mai passata tranquilla. Quella mattina quindi ero ben sveglio, accompagnato dal mio costante sottofondo d'ansia, fedele compagno, salii in macchina e feci rotta verso Bergamo.
Per l'occasione avevo preparato anche un cd, con musica a mio modo di vedere rigorosamente da viaggio, e ricordo che il primo brano non poteva essere più azzeccato: "e semm partì" di Davide Van DeSfroos.
Ogni viaggio che si rispetti ha la sua colonna sonora, la quale non ha soltanto il compito di accompagnarti lungo il tragitto, ma come un registratore associa immagini ed emozioni ad un suono, così che faccia presa più forte nella nostra memoria.
Ad oggi infatti, passati cinque anni, quando mi capita di ascoltare una delle canzoni contenute in quel cd, ecco che la mia mente si sposta immediatamente su ricordi di accadimenti risalenti a quel viaggio, con tutto il pacchetto di nostalgia che ne consegue.
Quel periodo dell'anno, ovvero i primi di agosto, è uno dei rarissimi momenti in cui l'autostrada milano bergamo è percorribile in maniera umana, ovvero senza che per fare poco più di trenta chilometri sei costretto a impiegare più di un'ora.
Infatti in meno di quaranta minuti arrivai a casa del dutùr, che mi aspettava già di fianco all'audi verde bottiglia, con il suo bagaglio già caricato.
Giusto il tempo di parcheggiare la mia carretta in un punto in cui non passasse il lavaggio strada, e dopo pochi minuti eravamo già in autostrada, direzione Venezia.
Non eravamo partiti nemmeno da mezzora, e già eravamo fermi al primo autogrill. Menu mattina di rito, pieno all'automobile e di nuovo on the road.
I t.i.r. snocciolati in fila indiana come stanchi pachidermi, li superavamo uno dopo l'altro, con noi dietro a fantasticare sulle loro targhe di provenienza ( o di destinazione, chissà ) dicendoci che stavolta anche noi eravamo in competizione con loro quanto a numero di chilometri che avremmo percorso.
Al casello di Mestre i primi problemi di traffico, e la cosa non ci aveva molto sorpreso, in effetti.
E' un prezzo che si sa va pagato, quando si decide di passare da quelle parti, e uno come me che ha speso parecchie estati in macchina in Croazia, lo sa bene.
Lasciato alle spalle l'ingorgo chioggiotto, in poco tempo siamo proiettati sulla Udine - Tarvisio. Autostrada molto suggestiva, a mio modo di vedere, e anche abbstanza sgombera di macchine.
Si era già fatta l'ora di pranzo, e la fame aveva iniziato a farsi sentire. La decisione però era stata quella di attendere l'ingresso in Austria per rifocillarsi. E così fu.
L'aspetto dell'autogrill evidenziava in maniera molto più marcata il fatto di avere lasciato l'Italia, di quanto non lo facessero i resti di una vecchia garritta di frontiera, che da quando è stata "fatta" l'europa è stata abbandonata alle intemperie, con i bacarozzi che prendevano pian piano il posto delle assonnate guardie.
Piazzola di sosta immersa nel verde, pulizia dentro e fuori la struttura e possibilità di pernottare in comode stanze. L'unica cosa che faceva un pò rimpiangere il cosiddetto bel paese era il cibo. Ma una cotoletta "viener style" ed una birra di Baviera, seduti sotto un bel pergolato di glicine, ci aveva assolutamente rifocillato e rimesso in pace con il mondo ;)
La voglia di entrare nell'europa cosiddetta dell'est, ovvero in Slovacchia, ci ha fatto anche rinunciare al consueto sigarro post-prandiale.
Salimmo in macchina, e ad una discreta velocità facemmo proseguimmo il nostro cammino verso Vienna.
Piano piano il traffico aumentava, e mano a mano che ci si avvicinava alla capitale austriaca, aumentavano anche le costruzioni di cemento che andavano lentamente a sostituire le verdi vallate austriache che ci stavamo lasciando alle spalle.
Rapidamente ci trovammo immersi nel traffico, che indipendentemente dal paese in cui ti trovi è sempre abbastanza sfinente, soprattutto per il fatto che si erano fatte circa le 15 del pomeriggio, ed erano quindi ormai parecchie ore che si era in macchina.
Abbandonate le tangenziali di Vienna scopriamo che nostro grande piacere che il confine con la Slovacchia dista non più di una ottantina di kilometri.
Questo significava che in meno di un'ora avremmo estratto per la prima volta il passaporto per entrare nel mitico "est europa".
Quando dall'italia si prende un aereo per una destinazione europea è tutto diverso. Si sale, ci si fa il segno della croce o si tocca ferro, a seconda delle credenze, e in poco tempo ci si trova catapultati nell'aeroporto di destinazione.
Sembrerebbe non manchi nulla. Invece manca una cosa fondamentale: il viaggio!
Il mutare del paesaggio, chilometro dopo chilometro è una sensazione magnifica, per chi ama i viaggi in macchina, e i voli low-cost o meno che siano non potranno mai supplire.
E così noi, abituati ai trasferimenti aerei, prenotati all'ultimo minuto il venerdì sera prima di uscire dall'ufficio, ci immaginavamo, all'ingresso in Slovacchia, di ritrovarci immediatamente immersi in un contesto di est europa, almeno quello in accordo con il nostro immaginario.
Ovviamente non fu così. Il passaggio è dolce. Un pò meno dolci erano le facce degli sbirri slovacchi in frontiera.
" Motivi del viaggio ? "
" Tu - tu - turismo, turismo ! ".
Un veloce timbro al passaporto e via, rotta verso Bratislava.