mercoledì 30 aprile 2008

Posso scendere? Troppo tardi!

La storia ha inizio nel caldo agosto dell'anno duemilatrè.
Già da qualche tempo prima però, sia io, sia colui che sarebbe diventato di li a poco il mio compagno di viaggio, nelle serate primaverili, spese a fumare sigari e bere cognac assieme, avevamo iniziato a fantasticare sulla meta.
Non importava né la distanza da percorrere in auto, né la latitudine, l'importante era che ci fosse gnocca e che non facesse caldo, ché l'afa rendeva insopportabile al dutùr ( così lo chiamerò d'ora in poi ) perfino l'idea del sesso.
Cioè non tanto il sesso in sè, quanto quell'appiccicosissimo dimenarsi e avvinghiarsi di corpi sudaticci, su improbabili letti di squallidi motel ad ore.
Inzialmente quindi avevamo pensato al lago Balaton.
Praticamente la Rimini ungherese, con la differenza che le ungheresi gnocche sono tutte nella Rimini, quella vera, a dimenarsi sui cubi dei vari locali notturni, e al Balaton hanno lasciato i loro genitori depressi, oppure, in alternativa, ci trovi gli austriaci squattrinati, che il massimo che si possono permettere è una villetta sulle sponde del Balaton.
Scartata la meta lacustro-ungherese quindi, ipotizziamo come seconda opzione l'inflazionatissimo Capo Nord.
Il problema è che se ci vai in porche, fermandoti nei migliori alberghi delle varie capitali che incontri, allora ha un senso, ma se ci vai da pezzente rischi che arrivato ad Amsterdam, getti l'ancora e carbonizzi il budget di un mese di vacanza in una settimana di canne e bagasce.
Scartata quindi anche la possibilità di raggiungere il punto più a nord d'europa, raggiungibile sulla terra ferma, decidiamo che la nostra meta doveva essere la Polonia. Meta di devoti pellegrini, e di grandi puttanieri. Vi lascio immaginare noi a quale categoria apparteniamo.
Bene, decisa la meta non rimaneva che decidere il mezzo di trasporto.
Affittare un camper, a parte il fatto che costava troppo, poi scattava troppo l'effetto famigliola felice in vacanza, inoltre avevamo bisogno di "indipendenza notturna", e non solo per problemi di roncopatia.
Rimaneva quindi perseguibile solo l'opzione automobile.
Del resto i viaggi on the road sono per definizione fatti in macchina.
Per uno come me poi, che ha visto forse venti volte il film Marrakech-Express ( e questo blog, a partire dal titolo, sarà farcito di citazioni e di rimandi a quel film) , non era possibile pensare ad un mezzo di trasporto diverso dall'automobile per un viaggio del genere.
Condiderando però che la mia era già tanto se ci portava sani e salvi a Bergamo, la scelta dell'audi verde bottiglia del dutùr è stata quasi una scelta obbligata.
Quando stai in macchina per molto tempo, presto ti accorgi che non è solo un mezzo di trasporto, ma è una compagna di viaggio anche lei, ed anche la più importante, ché se ti lascia a piedi il viaggio è finito.
Percepisci chilometro dopo chilometro i segni del viaggio anche su di lei.
I moscerini spalmati sul vetro che crescono esponenzialmente, la carrozzeria che si sporca piano piano, fino a quando, come nel celebre film, abbiamo potuto scriverci con le dita, sulla fiancata sinistra: MilanoCracoviaExpress.
Il bagaglio era semplice, cioè poco o niente.
Qualche maglione, pantaloni jeans e di fustagno, un paio di camice e scarpe da ginnastica.
L'unica cosa che ci dispiaceva è che sicuramente in quei posti non avremmo di certo trovato i toscanelli anisette, ai quali siamo tanto affezionati, e che ci saremmo dovuti accontentare di qualche sottomarca al limite del fumabile.
Ci eravamo comunque portati una piccola scorta personale, ma per non destare troppi sospetti alle varie dogane che avremmo dovuto attraversare, ci siamo accontentati di un'autonomia di qualche giorno, consolandoci col pensiero che in quei posti avremmo potuto facilmente rimpiazzare il vizio del fumo con quello del bere.
In quel periodo io ero in una di quelle fasi della vita in cui qualunque cosa ti da noia.
Il caldo non faceva altro che rendere il tutto ancora più insopportabile.
L'idea di un lungo viaggio in macchina mi affascinava molto anche perchè, come nei film che preferisco, esiste sempre la possibilità di decidere di rimanere la.
In un posto qualunque, magari dal nome difficile da scrivere, che tanto non c'è nessuno che ti deve scrivere lettere.
Su questo ricordo che il dutùr sosteneva che poteva scattare un pò l'effetto "extraterrestre" della celebre canzone di Finardi.
All'epoca non ero convinto, adesso forse sto iniziando a dargli abbastanza ragione anche su questo. Inoltre ero dell'idea che un lungo viaggio attraverso quelle terre pullulanti di gnocca poteva ingelosire un pò le varie squinzie che mi gravitavano attorno in quel momento, e potesse contribuire ad avvicinarle in maniera più stabile a me. Ovviamente non è andata così, ma arriviamoci per gradi.

Premessa

Questo non sarà il solito blog. Nel senso che non andrò a raccontare quello che la vita mi concederà da adesso in poi, giorno dopo giorno, ma racconterò un mese di vita passata.
Un agosto di cinque anni fa in cui sono successe molte cose.
Facce, chilometri, amicizia, amori, paesaggi, liquori...
Queste le prime immagini che mi vengono alla mente ripensando a quell'ormai lontano agosto, in cui, mentre la maggioranza dei nostri conoscenti e amici era, o spalmata su qualche spiaggia sotto la canicola della terribile estate duemilatrè, o a inseguire camosci su qualche alpeggio non troppo distante da Milano che non si sa mai, io e un buon compagno di viaggio, nonché grande amico, eravamo "accrocchiati" ( e da qui il titolo del blog ) in una macchina verde bottiglia lanciati a grande velocità verso dove i nostri occhi ci avrebbero guidati.
Di mappe e navigatori non ne volevamo nemmeno sentire parlare!
Buona lettura ;)